Dopo molti anni di lavoro sul concetto di funnel, mi sono reso conto di quanti problemi ci siano nell’oggetto, nella rappresentazione classica, nel nome stesso.
Il funnel, per dovere di documentazione, è un modello teorico di marketing, che affonda le proprie basi teoriche in modellizzazioni proposte già nella parte finale del XIX secolo. Si pone dal punto di vista di chi consuma un bene e ne rappresenta in maniera teorica il customer journey, il viaggio dalla conoscenza all’acquisto.
Uno schema molto basico di funnel può essere quello proposto senza troppi fronzoli da Wikipedia, dove si vede in maniera molto chiara che il customer journey, rappresentato dalla freccia verde, passa attraverso una serie di fasi, che vanno, per esempio, dalla consapevolezza (dell’esistenza di un determinato brand o prodotto) fino all’acquisto.
Parallelamente al concetto di funnel e con l’avanzare dell’era digitale e dell’incremento degli studi sugli e-commerce, si è introdotto il concetto di conversion funnel, molto simile e teorizzato, per esempio, in questo articolo del 2011 che si concentra, prevalentemente, su attività pay sui motori di ricerca ma che comunque offre già tutte le basi possibili per una buona comprensione teorica dell’argomento.
I problemi legati a questo modello di rappresentazione, molto logico e al tempo stesso molto pratico, nascono quando ci si deve mettere all’opera, soprattutto in ambiti o con clienti che non hanno grande dimestichezza con la teoria, che vogliono risultati rapidi, che si sono lasciati rapire dalla narrazione, ancora molto diffusa, del digitale che ti risolve tutti i problemi.
Gli equivoci in particolare sono dovuti a:
- quel che fa realmente un imbuto nella realtà. Se tu gli butti dentro qualcosa che può, per forma e natura, passare attraverso l’imbuto (un liquido), quel qualcosa attraverserà tutto l’imbuto e arriverà a destinazione. Traslando questo comportamento reale dell’imbuto nel customer journey si vede subito come sia una schematizzazione troppo ottimistica, per nulla realistica, che non tiene per niente conto
- della dispersione del pubblico (bisognerebbe immaginarsi un imbuto che, letteralmente, fa acqua da tutte le parti, per capire bene cosa succede ogni volta che un gruppo di persone viene raggiunto da un messaggio che riguarda qualcosa su cui devono costruirsi consapevolezza, poi un’opinione e così via, fino ad arrivare all’acquisto
- del lavoro che occorre impiegare per spostare il pubblico da un segmento all’altro. Nell’imbuto tutto fluisce naturalmente, per forza di cose, sempre e comunque verso il basso per forza di gravità. Nel marketing (digitale o meno) un analogo della forza di gravità, semplicemente, non esiste
- la “pendenza” delle pareti del trapezio/triangolo che di solito semplifica l’imbuto, o comunque il modo in cui il funnel viene disegnato. Se anche diventa chiaro che a ogni passaggio si perdono persone (un concetto mai troppo chiaro), non si capisce mai bene quante. Se pensiamo che si possa avere un tasso di conversione dell’1% da un capo all’altro di uno dei singoli segmenti dell’imbuto che rappresenta una delle diverse fasi del customer journey (significa, ad esempio, che ogni 100 persone che ti scoprono ce n’è una che viene a cercare di capirne di più) allora il primo segmento andrebbe disegnato più o meno così, in scala.
E poi ci vorrebbero gli altri, a mostrare in maniera incontrovertibile la difficoltà della conversione.
La naturalezza illusoria dell’andamento del liquidi nell’imbuto e la scarsa pendenza delle pareti rendono lo schema-funnel terribile per dare davvero l’idea di quel che si deve fare per passare da un segmento all’altro.
Inoltre, c’è un ulteriore rischio. Quello di concentrarsi esclusivamente sulle azioni da fare per passare da un segmento all’altro, come se ci fosse una formula matematica: porto 10000 persone sul sito, 100 si iscrivono alla newsletter, 1 comprerà. Ovviamente, non è così.
Come rimediare?
Ci ho pensato a lungo e ho iniziato a lavorare su un concetto diverso, che ribalta la forma del funnel e lo trasforma in piramide.
Prima di tutto, la forma – Perché una piramide? Prima di tutto, perché in questo modo evito di illudermi che sia possibile fare conversione come se fosse un fenomeno ineluttabile.
Devo lavorare per spostare un blocco di una piramide verso la cima. Devo lavorare per spostare pubblico che non mi conosce affatto a pubblico che, per esempio, mi lascia il suo contatto.
Poi, l’esperienza – L’altro elemento che manca completamente dal concetto di funnel è la costruzione di un’esperienza per tutte le persone che fanno parte di un determinato segmento. Quelle che restano in quel segmento. Quelle che se ne vanno (ma un giorno potrebbero tornare). Quelle che pian piano si spostano verso l’alto.
Ma in pratica? – Ecco come viene fuori più o meno lo schema, già ricopiato da mio figlio, che ho strutturato pensando a Slow News.
Vediamo insieme cosa succede, pensando che prima di tutto bisogna lavorare per l’onboarding: Slow News è un brand piccolo, un giornale indipendente, poco conosciuto. Il primo scoglio da superare, allora, è farlo conoscere. Portare una serie di lettrici e lettori sconosciuti sul sito di Slow News (sapendo che per loro Slow News è qualcosa di sconosciuto). Questo significa pensare all’esperienza che si vuole far vivere a queste persone. Cosa devono trovare in homepage? Che cosa qualifica meglio il nostro brand per chi proprio non ne sa nulla? È la EXP 1 nello schema. Un’esperienza che deve prevedere anche il fatto che moltissime delle persone che porterò a bordo per un attimo, un minuto, se ne andranno senza tornare più. Senza nemmeno ricordarsi che esistiamo.
Un obiettivo sensato – come abbiamo spiegato più volte – è cercare di dare a queste persone sconosciute (che in alcuni casi potrebbero diventare lettrici e lettori occasionali) in contatti. Dare loro un motivo sensato per lasciarmi la possibilità di ricontattarli con una mail, di chiamarli per nome.
Qui c’è il lavoro di conversione 1. Devo lavorare per produrre elementi, contenuti, esperienze che siano sufficientemente validi e di valore per convincere le persone a darmi una chance, per stabilire una relazione di prossimità.
A questo punto, devo pensare all’esperienza che vivranno queste persone (EXP2). Cosa riceveranno da me o dal mio brand? Come le gestirò? Come gestirò quelle che se ne andranno, quelle che vorranno sapere qualcosa di più?
Cosa voglio fare, poi, di queste lead? Vorrei, idealmente, trasformarle in persone che mi pagano, acquistano il mio servizio o il mio prodotto, nel caso di Slow News, vorrei che mi sostenessero economicamente perché credono nel giornalismo che proponiamo.
Ed ecco che devo lavorare per conversione 2, per spostare verso l’alto le mie lead, cioè, persone che stanno benissimo nell’area esperienziale che hanno raggiunto (oppure che non sanno più di esserci: facci i conti, a volte, per esempio, chi si iscrive a una newsletter non ricorda nemmeno di averlo fatto).
Anche il percorso di questa conversione è duro, difficile e accidentato.
Poi c’è il segmento (che in realtà ho diviso in tre) dei member. Qui trovi
- chi paga e si accontenta di pagare perché vuole farti esistere, vuole i tuoi contenuti/prodotti/servizi (ma a volte – capita, per esempio, nella cosiddetta creator economy – vuole semplicemente, davvero, soltanto sostenerti finché ritiene di valore quel che fai)
- chi paga e vuole essere ingaggiato in conversazioni ed esperienze più strutturate
- chi paga ed è anche a disposizione per diventare ambassador
Per queste tre tipologie di persone ho indicato, genericamente e per semplificare, un’esperienza 3. In realtà sono tre segmenti che meritano esperienze specifiche e distinte, che vanno progettate, messe in esecuzione, migliorate.
Il lavoro realmente espresso da uno schema come quello dell’ex-funnel, ora piramide di conversione, è un lavoro che dev’essere eseguito con la medesima cura in ciascuno degli step che abbiamo visto:
- onboarding
- esperienza per le persone sconosciute / occasionali / che se ne vanno
- azioni di conversione
- esperienza per i lead che restano / che se ne vanno
- azioni di conversione
- esperienza per chi acquista / i member / chi vuole essere parte di una relazione / chi diventa addirittura ambassador
Rivisto in questo modo, il funnel, probabilmente acquisisce un nuovo senso.