Le parole che scegliamo, è noto, evidenziano e modellano la percezione di quello a cui facciamo riferimento. Vogliamo proporti un piccolo slittamento semantico che potrebbe cambiare anche il vissuto di uno dei centri delle nostre vite e cioè il nostro lavoro.
Non la parola “lavoro” in sé, che in molte lingue si avvicina di più alla fatica e al dolore che a un impegno piacevole e non l’intero lavoro, ma una sua componente fondamentale e cioè l’amata/odiata gestione del cliente. La parola “gestione”.
Nelle agenzie del secolo scorso la gestione cliente era affidata, almeno nell’operatività, a una figura specifica e non molto amata nei reparti creativi: l’account, che vuol dire conto, resoconto, cioè cose noiose e che hanno a che fare con i soldi. In molti casi l’account era soprattutto un venditore, cioè colui che aveva ottimi motivi per dire di sì a qualunque richiesta dei clienti, perché tanto il lavoro lo dovevano fare altri. Da qui questa storica inimicizia tra ruoli e reparti, inimicizia paragonabile a quella tra project manager e schiavi ai remi dell’operatività.
Avanti veloce ai giorni nostri e soprattutto alle nostre giornate: uno dei problemi dei freelance e delle microagenzie è che siamo diventati degli one man band: venditori, account o PM, creativi, esecutivi e customer care. Contemporaneamente.
Magari non tutti facciamo tutto, ma facciamo almeno due cose: il nostro lavoro e la gestione del cliente. Siamo diventati una figura odiosa, quello che dice “sì certo che posso fartelo per lunedì, non è un problema che tu me lo stia chiedendo alle 19:45 di venerdì” o “nessun problema a inserire il rosa fenicottero senza togliere il verde pisello” o “ma certo che possiamo chiedere anche il gruppo sanguigno a chi si sta iscrivendo a questa inutile newsletter!!”.
È necessario? È giusto? Facevano bene gli account a trasformarsi in tappetini srotolati? Abbiamo tutti tanti amici account? La nostra posizione è no, non è giusto e soprattutto non è e non era necessario. Anzi: più sei tappetino più ti calpesteranno.
Eccoci quindi al nuovo naming che vogliamo proporti per cambiare il vissuto di questa parte del nostro lavoro: la gestione cliente non è altro che uno scambio di energia e, come tutti gli scambi, dipende da quanto sei in grado di trasformare l’energia in arrivo in risultati.
Un posizionamento estremamente produttivo, da questo punto di vista, è quello del freelance capace di trasformare energia negativa (ansia, stress, paura, a volte cattiveria) in risultati. Io non sono capace, ma lavoro con persone così: prendono le scorie in arrivo dai clienti (che sono persone, accomunate da una cultura e da un clima aziendale, ma sempre singoli individui) e le trasformano in adrenalina e in risultati (creativi e/o di business).
Se non sei capace di farlo è difficile riuscirci, ma non puoi neanche lavorare solo con clienti carichi di energie positive. Esistono, ma non sono tantissimi: sarebbe un consiglio simile a invitare una persona depressa a star su di morale. Uno dei motivi per cui si cerca un freelance, inoltre, è proprio per portare uno sguardo nuovo e fresco in azienda, senza distruggerlo alla prima riunione. Quindi abbiamo sintetizzato per te tre indicazioni per attrarre i clienti giusti.
Be the energy you want to attract
Il consiglio è di Jaime McFaden, un’allenatrice di running: nei suoi audio di accompagnamento agli allenamenti Jaime propone sempre una parola guida e una serie di consigli motivazionali molto originali e interessanti. Non esistono solo energie negative ed energie positive, ci sono infinite sfumature e ciascuno di noi vibra su una tonalità particolare.
Quando scegli il tono di voce per la tua comunicazione, per la tua offerta, per i preventivi, durante la negoziazione fai in modo di rappresentare il tipo di energia che vuoi attrarre: calma e profonda, veloce e divertita, lenta e riflessiva, cinica e scazzata. Non solo il simile attrae il simile, ma se siamo bravi nel rappresentare il nostro stile di lavoro fin dalla comunicazione aiuteremo i clienti a modellare il loro comportamento sui nostri ritmi oppure a scegliere qualcun altro, più adatto a loro.
Prenditi cura di un problema più grande del lavoro che fai
Noi, in quanto Wolf, risolviamo problemi per definizione. Non perché siamo “problem solver”, orrida etichetta da Linkedin, ormai distante anni luce da qualsiasi vero significato.
È più una questione di prendersi cura della persona invece di limitarci a “gestire un cliente”. È per questo che ti consigliamo di trovare un modo leggero e informale per far capire al tuo cliente ideale che, oltre a fare bene quello per cui vieni pagato, sei empatico e solidale su altri fronti. Quali dipende da te: un workaholic capirà benissimo i problemi di chi vuole fare carriera, meno quelli di un ansioso. Un nerd farà fatica a empatizzare con chi non vuole avere a che fare con la tecnologia, un umanista con chi pensa linearmente, un creativo con chi prende tutto alla lettera.
Capisci che problema risolvi, mettici una qualunque offerta al centro e raddoppia i prezzi.
Tiratela abbestia
Questo vale soprattutto per noi donne, sempre in difficoltà quando si tratta di affermare il nostro valore, soprattutto in termini di prezzo. Invece vale sempre e per tutti, senza diventare vanagloriosi: se il tuo lavoro conta, non sminuirlo.
Dalla gestione alla passione
A questo punto dovrebbe essere chiaro che l’idea stessa di gestire un cliente implica una sua problematicità, come se fosse sempre e comunque un fastidio di cui liberarsi. La prova del nove è sempre la stessa: a te fa piacere essere gestito? Non credo proprio. E allora non farlo con gli altri: inizia a vedere il rapporto con chi ti affida un lavoro come uno scambio di energia e un prendersi cura dei problemi altrui, vedrai che molti problemi concreti andranno a posto da soli.
L’immagine è di Appolinary Kalashnikova su Unsplash