Se c’è un libro che incarna molto bene lo spirito che abbiamo voluto proporre agli abbonati di Wolf, quel libro è «Marketing in un mondo digitale» di Alessandra Farabegoli e Enrico Marchetto.
Ci sono tanti motivi per consigliarlo calorosamente. Fra questi mi piace elencare i seguenti:
- non ha la pretesa di essere definitivo
- gli autori raccontano casi di lavoro personali
- si esaminano sia casi di successo sia casi di insuccesso
- gli strumenti sono subordinati alla strategia
- il “tool” più importante che si consiglia di allenare è l’empatia
- le persone vengono prima di tutto
Quest’ultima affermazione, che permea tutto il libro, è chiarissima fin dall’introduzione a firma dei due autori: se li conosci, se hai già avuto a che fare con loro, anche solo digitalmente, sai che quello è proprio il loro tono di voce. Che sono Alessandra e Enrico, prima di ogni altra cosa.
Il primo capitolo si intitola il digital marketing non esiste.
Basterebbe questa affermazione per giustificare il prezzo del biglietto.
Non è la solita provocazione ma è un tipo di contenuto che conosciamo bene su Wolf, dove spesso ci siamo soffermati sulla follia di voler trovare a tutti i costi degli aggettivi da associare alle parole.
Enrico e Alessandra raccomandano il ritorno al marketing e, guarda un po’, alle lezioni di Philip Kotler. Un signore che, alla veneranda età di 87 anni, ha sentito il bisogno di aggiornare la propria opera per sancire il passaggio dalla brand awareness alla brand advocacy. Che poi è un po’ il succo di quel che si deve tenere bene a mente quando si progettano strategie di comunicazione e di marketing che devono tenere a mente la necessità di mettere al centro le persone. Ovviamente non è vero che non è cambiato niente.
«Si sono moltiplicati i canali di comunicazione fra persone e fra aziende e persone. […] Le aziende hanno smesso di essere “scatole nere” che comunicavano con il mercato solo attraverso i propri prodotti e/o i messaggi pubblicitari controllati dagli uffici marketing».
E poi si sono diffuse credenze che qui cerchiamo di smontare quando parliamo di agire contro il determinismo. Credenze ben rappresentate da uno sfogo – più volte citato nel libro – di Samuel Scott. Secondo il quale il determinismo generato da strumenti come Google Analytics ha distrutto il marketing perché si è data
«una spropositata importanza a un criterio di suddivisione dei flussi di traffico fondato su una classificazione per canali che sono semplicemente porte d’accesso, ma che poco o nulla dicono sulle motivazioni che hanno portato le persone fin lì».
E visto che si parla di motivazioni, diventa naturale, per esempio, parlare di SEO. Cioè di domanda diretta. Su Wolf trovi un quaderno sulla SEO molto strutturato e pieno di esempi personali. L’approccio proposto da Farabegoli e Marchetto è molto simile e arricchente.
Poi c’è la storia di un fallimento. Su questo non vorrei anticipare assolutamente nulla se non il fatto che la protagonista è una renna di Natale e che dentro ci trovi nominata anche la mia socia Barbara Gulienetti con il nostro progettino sul fai da te.
L’elemento veramente encomiabile di questo capitolo è la capacità di Enrico Marchetto di mettersi a nudo e rivelare sia le componenti di successo di una strategia reale con un cliente sia le ragioni di un fallimento, senza cercare scuse e senza dare colpe agli altri (abitudine molto diffusa).
Storia di un successo, invece, racconta la modalità con cui si è fatto marketing per una pubblicazione alla quale personalmente sono molto legato. Si tratta di UPPA. La strategia e le tecniche utilizzate sono una vera e propria masterclass. E uno dei motivi per cui UPPA è interessante, al di là del racconto che viene fatto dal libro, è che soddisfa tutti i principi dello slow journalism.
È una rivista per un pubblico ben preciso, di cui soddisfa un bisogno: il pubblico delle mamme (future o meno) e dei papà (futuri o meno) che ha bisogno di informazioni a proposito di questa fase così delicata della vita che è l’essere in procinto di avere figli o l’averli avuti e trovarsi completamente disorientati.
La rivista è fatta da persone molto competenti (pediatri).
Non ha pubblicità: la leva di monetizzazione è l’abbonamento.
Stimola il senso di comunità dei propri abbonati.
Utilizza il web per dare ai propri contenuti la potenza del contenuto attrattore (che nel libro viene chiamato magnete).
Il capitolo 4, il marketing al tempo del content shock, è musica per le orecchie di chi predica un ritorno alla qualità anziché una folle corsa alla quantità.
Se c’è una lezione che si impara dalla lettura di «Marketing in un mondo digitale» (e non ce n’è solo una) è che anche quando scrivi un testo per Facebook, un titolo, un breve sommario, ci devi mettere la stessa cura maniacale, la stessa attenzione di quando scrivi un articolo, un libro intero. Solo così si può sperare di sopravvivere ed emergere nell’era del sovraccarico informativo.
Qui si racconta, fra l’altro, il percorso di progettazione per una serie di contenuti per un e-commerce di un sexy shop. Si definisce il principio del passaggio di consegne alla fine di un lavoro (e lo si fa fra le righe: è questa una delle cose che mi ha fatto voler bene a questo libro: anche le cose che emergono fra le righe parlano del lavoro di chi fa marketing e del modo in cui dovrebbe essere fatto. Con correttezza e onestà intellettuale) e poi si pone anche un ragionevole dubbio rispetto alla «reale sostenibilità di progetti die commerce indipendenti» e si invita ad «affrontarli con un severo esame di realtà, rispetto alla reale competitività della propria offerta e rispetto al set di competenze e risorse esterne e interne, necessarie».
Il capitolo 5 si intitola Fuga dalla cold call e spiega nel dettaglio – sempre prendendo come esempio il caso di UPPA – il percorso che si effettua per lavorare sul famigerato funnel di conversione. Attenzione: non ci sono formule. Non ci sono scorciatoie. C’è analisi, c’è strategia, c’è tecnica e profonda conoscenza dei canale di marketing utilizzato e poi c’è quel muscolo di cui abbiamo già parlato: l’empatia.
Un’empatia che si usa anche per capire i percorsi d’acquisto di chi trova la rivista da amici, chi cera su Google, chi la riceve in regalo, chi viene raggiunto da contenuti su Facebook.
Il capitolo 6, infine, parla del marketing dopo la vendita e di quel che si può fare per aumentare il cosiddetto custumer lifetime value. Qui si affronta un altro dei temi del libro – che appare anche in altri capitoli – che è quello della capacità di costruire flussi semi-automatici di mail. In questo caso specifico, per mantenere in vita il rapporto con il cliente (in altri passi si parla anche, naturalmente, di DEM e di mail e newsletter per scopi di marketing).
Nel libro – che consiglio cartaceo per la presenza di immagini molto interessanti da studiare – trovi il concetto delle personas (dalla progettazione alla persona reale), l’uso dei dati, la domanda latente e la domanda diretta, un’ampia disamina di uno degli strumenti più potenti di questi tempi (non è un caso che qui l’abbiamo definito una piattaforma coi super poteri): il business manager di Facebook e molto altro.
Ma la cosa più importante che ci trovi è il mix impagabile fra l’esperienza di due persone che non hanno paura di insegnare quel che hanno imparato e la consapevolezza che non esistano formule magiche e che l’unica strada da perseguire sia lo studio associato alla pratica.
La nostra ambizione è di farti trovare proprio questo approccio anche su Wolf.
Nota: con Enrico Marchetto, a gennaio 2018, abbiamo pubblicato questa conversazione.
(AP)