Lo stadio di proprietà

Nel 2009, su PianetaGenoa1893, appariva un bel pezzo dal titolo «I ricavi degli stadi di proprietà in Europa? Derivano dai biglietti». Si parla di calcio, naturalmente. E le conclusioni cui arriva l’autore del pezzo erano, già sette anni fa, quasi banali ma non per questo poco interessanti.

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«Uno stadio che funzioni, o con alto tasso di capacità produttiva riesce ad attenuare la dipendenza di tali club dai diritti televisivi».

Prima di vendere a Massimo Ferrero, Edoardo Garrone, all’epoca presidente della Sampdoria, dichiarò:

«Una struttura di proprietà aumenta i ricavi da stadio mediamente del 66%, ricavi che potrebbero essere reinvestiti sulla squadra. Sennò il futuro non potrà discostarsi molto dalla realtà di oggi del nostro calcio, che riguarda pure club molto più blasonati».

All’estero è una prassi sdoganata da tempo. In Italia no. Partiamo dal caso dello Juventus Stadium. Ci sono voluti dieci anni perché il progetto prendesse forma. Dopodiché, i benefici sono sotto gli occhi di tutti.

Fidelizzazione della community

Il tasso di utilizzo dello Juventus Stadium è il più alto in assoluto fra le squadre italiane. Nei dati di Footballbenchmark relativi alla stagione 2013/2014, lo stadio della società di Torino fa registrare un tasso di utilizzo pari all’88,2% (complice anche la capienza, naturalmente, di 41.475 posti. Più facile da riempire di uno stadio da 81.277 come San Siro, per dire). Segue a ruota il Cagliari (che però ha, nella stagione 2013/2014, uno stadio omologato per 5mila posti).

Lo stadio si porta appresso anche una serie di collateralità come i negozi interni per il merchandising o il museo.

Aumentano i ricavi

I ricavi da gare della squadra hanno reso alla società 11,6 milioni nella stagione 2010-2011 e 51,4 milioni nella stagione 2014-2015. Un incremento del 500% in cinque anni. Naturalmente sarebbe scorretto sostenere che questo andamento sia replicabile all’infinito: la crescita infinita, del resto, è una chimera. Non è replicabile all’infinito con quella curva di crescita perché, banalmente, non è detto che tutte le stagioni abbiano il medesimo numero di partite (dipende da come vanno la squadra in coppa Italia e in Europa, per dire). Tuttavia, il Manchester United, per esempio, ottiene dagli introiti dello stadio il 25% dei propri ricavi. Il che significa che si può massimizzare perlomeno fino a quella cifra percentuale (è la squadra nel mondo che ottiene più ricavi in assoluto).

Altri risultati

La cosa interessante è che spesso un investimento di questo tipo può portare anche risultati sportivi. Quando Alessandro Del Piero visitò il cantiere dello Juventus Stadium disse: «Questo impianto vale almeno 5 punti a campionato». L’operazione, in quel momento, era un unicum nel panorama italiano. Fatto sta che, da quando gioca nello Juventus Stadium, la Juventus ha sempre vinto il campionato di calcio italiano.

Chiaramente, il tutto genera un circolo virtuoso: i successi fanno aumentare i prezzi dei biglietti e degli abbonamenti, che fanno aumentare i ricavi, che consentono di investire maggiormente sul mercato.

Altri esempi

Sulla scia della Juventus, in Italia, è arrivato il Sassuolo, il cui stadio è, per essere precisi, di proprietà della Mapei Spa, azionista di maggioranza della squadra (in verità era già di proprietà della Reggiana, che probabilmente era troppo avanti per il contesto calcistico: fu teatro di tragedie sportive, per la Reggiana, lo stadio del Giglio). Il progetto Sassuolo non sarà miracoloso come il Leicester di Ranieri, che si è portato a casa la Premier League in Inghilterra con una storia da film (e infatti si dice che qualcuno un film su ce lo farà). Ma di fatto è un progetto solido. La squadra milita in serie A dalla stagione 2013-14: il primo anno si è salvata dalla retrocessione con parecchi affanni. Il secondo anno ha avutovita più facile. Nel 2015-16, per la prima volta si è qualificata per una competizione europea (l’Europa League, nella quale giocherà se il Milan non vincerà la coppa Italia). È vero che Squinzi non bada a spese e che lo scorso anno, per il Sassuolo, si è chiuso con un passivo pesante. Ma il risultato ottenuto sul campo è straordinario e tutto fa pensare che fra stadio di proprietà e gestione oculata, si stia costruendo una solida realtà calcistica di provincia.

Infine, arriva l’Udinese, con la Dacia Arena, inaugurata il 17 gennaio. Lo stadio è commisurato alle esigenze dei tifosi friulani (25mila posti), ha un museo – come quello della Juventus –, un ristorante, un’area fitness. Non è andata benissimo, per ora. L’unica giornata che ha fatto registrare un tutto esaurito è stata proprio quella inaugurale. D’altro canto, questa è stata la peggior stagione della società dal 2000 a oggi. Chissà cosa sarebbe successo se lo stadio di proprietà l’avesse avuto quando macinava punti e otteneva risultati sorprendenti (come la qualificazione ai preliminari di Champions League).

Le altre società arrancano, sul tema, ma se ne parla in continuazione, di nuovi stadi di proprietà in Italia. Il Milan ha rinunciato. Proprio ieri Goldman Sachs ha sbloccato i finanziamenti da 30 milioni di euro per lo Stadio della Roma (ma siamo ancora in alto mare). Eppure, prima le società si renderanno conto che il contesto dello stadio di proprietà ha dei ritorni sul breve, medio e lungo periodo, più ci saranno possibilità per il miglioramento sportivo delle squadre italiane.

La membership

Ti pare un caso se, insieme al progetto degli stadi di proprietà, si affianca il concetto di membership? Si chiamano member i tifosi abbonati del Sassuolo e pure quelli della Juventus, per dire. E gli abbonamenti si chiamano proprio membership. La medesima denominazione si è affermata anche in altre squadre italiane. In effetti, l’abbonato allo stadio si presta bene, a seconda della quantità di soldi che è disposto a spendere, a ricevere diversi extra che vanno dal semplice accesso allo stadio fino a benefit di vario genere (giornate con la squadra, animazione per bambini il giorno della partita, momenti di intrattenimento riservati e via dicendo).

Distribuisciti. Fatti il sito

L’industria editoriale e giornalistica, online e offline, potrebbe provare a replicare alcuni meccanismi del mondo del calcio. Lo stadio di proprietà, per esempio: creare un luogo virtuale o fisico (o entrambi) dove si trovani i propri contenuti. In altre parole, distribuirsi anziché farsi distribuire. E utilizzare, nel frattempo, tutti i canali possibili di promozione dei contenuti stessi (dalla SEO ai social) per portare il pubblico nel proprio stadio. Qui si possono applicare vari modelli di membership (dal semplice accesso con registrazione fino al pagamento). E il valore aggiunto dei dati è proprio e non viene regalato a terzi.

Per i grandi player vuol dire, per esempio, non impiccarti con gli Instant Articles. Per i piccoli, magari per i singoli comunicatori o giornalisti, per esempio, vuol dire fatti il sito!

D’altro canto, la necessità di portare a sé, nel proprio stadio, i lettori/consumatori l’hanno capita persino i brand (vedi Coca-Cola, per dirne una), che pure avrebbero ben altri interessi. Perché non dovrebbero capirla coloro che, di mestiere, lavorano con i contenuti?