Il mondo nuovo, la nuova normalità di cui molti hanno iniziato a parlare durante l’emergenza COVID-19, è una normalità a cui bisognerebbe tendere a prescindere dalle situazioni emergenziali.
Quello a cui stiamo assistendo, tuttavia, è un po’ il sogno di tutti coloro che hanno lavorato per anni perché il digitale diventasse qualcosa di concreto e tangibile.
Nella progettazione della user experience, ci sono alcune parti del viaggio che fanno i tuoi clienti cui puoi prestare una cura diversa, se hai imparato la lezione dell’emergenza. Sono quelle che ho chiamato le tre “s” della nuova normalità.
“S” come Smaterializza
Il virus ha fatto e fa paura. Ma non è solo per questo che devi smaterializzare tutto quello che può non essere fisico. È perché migliori la vita delle persone.
Ti faccio un esempio personale: da quando non posso più fare il pendolare, i miei clienti hanno scoperto che possiamo lavorare con profitto anche a distanza. Facciamo call intense, ci sentiamo, ci confrontiamo, uniamo l’utile al dilettevole, spesso ci ispiriamo a vicenda con letture o suggerimenti, a volte parliamo di cose che non riguardano strettamente quello che stiamo facendo, ma che ci fanno crescere a vicenda. Spostandomi poco ho guadagnato 20 ore di vita a settimana (alla fine dell’anno sono quasi 48 giorni!) e quando sento i miei clienti ho la mente libera e sgombra per loro, non sono vittima dei ritardi dei treni, delle corse, dei ritardi non miei. Le call sono quasi sempre puntualissime. Con scadenze chiare e compiti precisi, a meno che tu non abbia l’ansia di contare le pecorelle, puoi tranquillamente fare a meno di obbligare le persone a vedersi dal vivo. L’Economist la chiama l’era dell’after domestication. Twitter ha deciso che i dipendenti possono lavorare da casa (o da dove preferiscono) permanentemente.
La stessa cosa vale per i servizi che offri. Tutto quel che puoi smaterializzare, smaterializzalo. La mia banca, in Fase2 appena iniziata, mi ha obbligato a presentarmi per apporre una ventina di firme per una carta di credito da ritirare rigorosamente dal vivo. È assurdo ed è disincentivante a rimanere con loro.
Con i miei clienti che lavorano nel mondo del food packaging abbiamo immaginato un servizio per tutti coloro che vogliono scegliere gli imballi alimentari (magari per fare il food delivery che è letteralmente esploso anche per le piccole attività) senza muoversi ma senza rinunciare al piacere di un contatto umano. Si può prenotare una videochiamata e uno degli agenti di vendita, nello showroom, parla in video con il cliente e gli mostra i prodotti che fanno al caso suo.
Sì, qualcosa può mancare e si può trovare il modo di ovviare a quello che manca, magari riducendo drasticamente le occasioni di incontro dal vivo a quelle strettamente necessarie, trasformandole in momenti piacevoli.
Rimaterializzare sarà un utile esercizio. Ma nel frattempo, giocati la seconda “S”.
“S” come Sostituisci
Tutto quello che non si rimaterializza, va sostituito.
Questa è una lezione che molti settori hanno già imparato (e per quelli che hanno imparato, al tempo stesso, ci sono quelli che non impareranno mai). Per esempio, nel turismo, ci sono esempi di comunicazione eccezionali che vanno a sostituire il contatto umano e che, agendo per sostituzione, rimettono al centro proprio il rapporto umano, risolvendo i problemi dei clienti.
Un esempio? Anche se il copy non è il massimo, guarda qui.
Questa struttura ricettiva sa perfettamente che in questo momento le paure di chi vuole farsi un po’ di vacanza sono tante. E i titolari hanno ritenuto di mettersi a disposizione anche con politiche di cancellazioni straordinarie, incentivi, addirittura qualsiasi vostra richiesta.
Ci sono strutture – anche molto piccole, ma curate con amore – che precisano, per esempio, ogni quanto il personale è sottoposto a test sierologico, che si mettono letteralmente a disposizione del cliente.
Nella Slow Journalism Masterclass che abbiamo deciso di erogare online, stiamo comunque esaltando il contatto umano anche se a distanza, con un numero chiuso di iscrizioni, con incontri di prova, con mail successive di preparazione.
Un lettore ci ha segnalato un errore concettuale su Slow News. L’ho corretto e ho trasformato la sua segnalazione in un pezzo in cui spieghiamo la nostra politica di correzione degli errori.
Il digitale ti dà un’opportunità incredibile di agire per sostituzione. Non limitarti a smaterializzare. Arricchisci il rapporto. E mentre lo fai, ricordati della terza “S”.
“S” come Semplifica
Abbiamo un’occasione d’oro, se lavoriamo per smaterializzazione e per sostituzione. L’occasione d’oro è la semplificazione.
Semplificare non vuol dire essere riduzionisti, non vuol dire trattare la complessità come se fosse una cosa complicata.
Semplificare vuol dire rendere la vita facile alle persone, per quanto possibile.
A volte, è una vita troppo facile (ecco perché non sempre le esperienze senza frizione funzionano bene). Per esempio: abbiamo scoperto che il sistema di login di Wolf da quando siamo su Wolfmasterclass.com è troppo semplice e a volte non ci si accorge di essere loggati. Ecco perché abbiamo preparato questo breve testo: ho fatto login? E lo abbiamo messo persino nel menù.
Ma in generale, semplificare è quel che bisogna fare per funzionare.
Le dieci leggi della semplicità di John Maeda sono quelle che fanno al caso tuo (ti consiglio la lettura del suo libro, Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori).
- RIDUCI. Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata
- ORGANIZZA. L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi.
- TEMPO. I risparmi di tempo somigliano alla semplicità.
- IMPARA. La conoscenza rende tutto più semplice.
- DIFFERENZE. La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra.
- CONTESTO. Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.
- EMOZIONE. Meglio emozioni in più piuttosto che in meno.
- FIDUCIA. Noi crediamo nella semplicità.
- FALLIMENTO. Ci sono cose che non è possibile semplificare.
- L’UNICA LEGGE. Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.
La foto è di Sarah Dorweiler su Unsplash