Maggio 2019. Come di consueto negli ultimi anni, in avvicinamento alla tornata elettorale, il tema delle elezioni europee è sempre più importante anche sulle piattaforme digitali. Questo avviene per natura, per quanto la campagna elettorale, almeno in Italia, sia ormai da tempo “permanente”, con i politici di molte fazioni occupatissimi a comunicare la propria attività e il proprio credo su base quotidiana sulle piattaforme che glielo consentono (ovvero, tutte. A partire dai legacy media).
Abbiamo visto a titolo esemplificativo – e per analizzare il funzionamento di certi meccanismo – il modo in cui Salvini e il Pd promuovono contenuti su Facebook. Adesso proviamo a guardare che cosa succede in termini di contenuti su Google.
La situazione è molto diversa: su Google ci vai per chiedere cose allo strumento. Come sappiamo, è il regno della domanda diretta e consapevole.
Eppure anche a Mountain View sono consapevoli dell’importanza della questione. Così, per esempio, cercano di dare una spinta a contenuti a tema invitandoti a cliccare sul link che rimanda al dibattito fra i candidati alla Presidenza della Commissione Europea, naturalmente su YouTube, mettendo il link sotto alla barra di ricerca, direttamente in home. Capita raramente (e delle poche volte che ricordo, la maggior parte è capitato per ragioni autopromozionali di Google stesso).
Per quanto riguarda la battaglia contro le cosiddette fake news, Google si concentra prevalentemente sull’applicazione delle proprie linee guida che abbiamo analizzato in La guerra alla disinformazione e la SEO. Ma cosa succede davvero nelle SERP, cioè nelle pagine dei risultati che Google restituisce per dare link a chi cerca?
L’unico modo per saperlo è cercare.
Chi paga
La prima cosa che salta all’occhio con la keyword più ovvia (banale?) è che l’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ha ritenuto di dover sponsorizzare la propria presenza. Cliccando sul link (la cui URL esposta, peraltro, contiene un refuso, per gli amanti dei dettagli) si atterra su questa pagina, che è lo speciale sulle elezioni europee prodotto da questo think tank.
Se non altro, come si vede anche reiterando la ricerca (una volta ho trovato un altra pagina che paga per essere lì, questa), non sembra che partiti politici abbiano investito su questa keyword (pare che non l’abbiano fatto nemmeno per altre keyword più “emozionali” tipo “chi voto alle europee?” e nemmeno su quelle informative che potrebbero portare a contenuti ingannevoli tipo “come si vota alle europee?”). O magari ci hanno provato, ma Google non lo consente perché viola le sue polocy. A questo proposito, per anni nelle caselle di posta delle persone sono state consegnate lettere di comunicazione elettorale che ti spiegano “Come si vota” proponendoti non già il contenuto informativo quanto piuttosto il voto per un certo partito o candidato. Per tacer di molte altre bassezze (non solo in termini di comunicazione o propaganda) che non hanno niente a che vedere con le piattaforme digitali! Google, invece, sulla keyword puramente informativa adotta un meccanismo di protezione di chi ha cercato. Ti dà le risposte lui e ti aggiunge altre domande, attingendo fra le fonti al sito ufficiale del Parlamento europeo.
Chi informa?
Come vedi, Google adotta difese che nella realtà non digitale sono quasi impossibili.
E il bello è che queste difese deve adottarle per evitare che nelle SERP possano dominare, su ricerche come queste, contenuti spazzatura. Certo, è “inquietante”, se vuoi, perché si demanda all’ente privato un controllo notevole (giacché, come sappiamo, Google e Facebook sono sostanzialmente oligopolisti del viaggio di scoperta dei contenuti sul web nella società occidentale).
Ma sono proprio i publisher a spingere per questo tipo di controllo. Sia perché lo chiedono a gran voce sia perché, sulle keyword – cioè sugli argomenti – che generano traffico a volontà si sono da sempre compiute le peggiori nefandezze. In “Le previsioni del tempo e i contenuti commodity” ne abbiamo parlato, mostrando anche siti che generano in automatico pagine che parlano del tempo che farà un anno dopo, col solo scopo di guadagnare posizionamento su Google.
Chi si posiziona?
Per quanto riguarda il posizionamento organico (con la combo fra Google, Google News, Video, Immagini), la musica è sostanzialmene la solita di qualsiasi grande evento di questa portata.
Il risultato che si ottiene dal punto di vista del editore (che, lo ricordiamo, a seconda dei momenti vuole da Google il traffico, o i soldi, o che elimini i siti spazzatura) è che Google si sostituisce a lui in termini di percepito, gli fa perdere traffico e sicuramente anche soldi.
Si poteva e si può evitare? Certo che sì. Solo che i siti che producono contenuti informativi si impegnano a realizzare sempre più contenuti che draghino traffico dominando le SERP, sia quelle più statiche sia quelle più dinamiche su Google News. Il risultato è, come al solito, una pletora di contenuti, notizie-non-notizie, pezzi nuovi prodotti tipo catena di montaggio, perché ormai è conoscenza condivisa il fatto che dominare questo tipo di SERP ti dà garanzia di enormi volumi di traffico.
Quel che salta all’occhio, poi, è che come al solito nessuno fra i grandi player, pur avendone la possibilità, ha agito con il giusto anticipo per superare i concorrenti e conquistare un posizionamento solido nel tempo: si preferisce inseguire i picchi di Google News anziché il traffico di lunga portata che proviene dai risultati non strettamente connessi con la natura iper-produttiva e iper-aggiornata di Google News.
Rispetto a qualche anno fa, si vedono molti meno siti “spazzatura” che facevano di alcuni dettami tecnici SEO dei veri e propri mantra per acchiappar click e portare le persone su siti privi di reale utilità per loro ma molto utili per gli editori di quei siti.
Perché? Per il solito motivo: il modello di business. Su grandi eventi come questo tipo di contenuti si fanno davvero volumi di traffico molto importanti a cui è difficile rinunciare (sarebbe difficile rinunciarci anche in una situazione che non fosse di crisi).
Colpisce, però, che il primo risultato sia Today e non uno dei grandi player dell’editoria giornalistica.
Poi Google, bontà sua, premia alcuni siti ufficiali, quindi “money.it” e Il Post (che fa un ottimo lavoro SEO).
In ogni caso, il risultato di questa corsa al click è quello di avere piani editoriali tutti uguali (quando ci sono), contenuti tutti uguali.
Anche quei pochi che fanno contenuti angolari continuamente aggiornati (ti ricordi il mio pezzone sul border collie?), raramente hanno saputo trovare delle soluzioni che migliorino la user experience.
Ed è una caccia al click dove, paradossalmente, i big non fanno tutto quello che potrebbero fare.
D’altra parte, abbiamo letto cosa pensa Mentana di Google e della SEO rispetto al “suo” Open: li ha definiti “trucchi”. E in effetti, per il modo in cui vengono usati da chi produce contenuti, sono stati ridotti proprio a quel livello: trucchi.
Siamo ancora qui. Alla caccia al click, mentre ci preoccupiamo di come le piattaforme proteggono “i più deboli e influenzabili”.
(AP)