Lavorando con un cliente mi è capitato di fare, più o meno, questa conversazione:
«D’altra parte», mi ha detto lui, «la consulenza SEO non è di certo un asset, è un intervento che tu fai e che si esaurisce qui e ora».
«Eh, no», gli ho risposto. «Se lavoro bene per te in termini di ottimizzazione SEO in realtà sto facendo molto di più. Ti sto aiutando a produrre una serie di contenuti mirati – meno e fatti meglio – che rimangono a generare risultati sul lungo periodo. Le foto, i testi, i video che produci sono tutti asset della tua azienda, perché diventano elementi monetizzabili o che favoriscono la monetizzazione e anche la consulenza SEO che ti faccio si trasforma in asset se fai in modo che i procedimenti che seguiamo diventino cultura condivisa all’interno dell’azienda».
In questo scambio che – lo ammetto – per me era assolutamente scontato, almeno per quanto riguarda i miei contenuti e il mio lavoro, si annidano molti degli equivoci che si sono susseguiti negli anni sul lavoro che si fa per garantire a un sito un’adeguata visibilità organica, per portare traffico su un contenuto digitale. Non solo sulla SEO, dunque.
L’equivoco fa parte anche di una tendenza diffusa a costruire piani editoriali fatti di contenuti prodotti in massa, senza alcun obiettivo globale, solo per il fatto che si devono “centrare” i “search intent” o coprire le query, perché bisogna essere presenti sui social con una copertura massiva e via dicendo.
In realtà, il lavoro che invito a fare è quello di vedere sia la strategia sia i contenuti che si producono come un asset, lavorare su pochi, in alcuni casi addirittura pochissimi contenuti fatti benissimo, manutenerli ossessivamente per massimizzarne la conversione e la monetizzazione, riproporli tutte le volte che se ne ha l’occasione nelle piattaforme che lo consentono e con forme e metodologie di disseminazione che arrivino a saturare tutto il pubblico potenzialmente interessato.
Se vuoi, è una specie di rivoluzione copernicana del contenuto digitale.
Un tempo si diceva che il giornale di carta, o il libro, o l’archivio cartaceo erano una sorta di cattedrale di senso. Valeva, in particolar modo, per il giornale, con le sue regole, la gerarchia delle notizie, la decisione di come strutturarle. In realtà, oggi è sempre più evidente che la vera cattedrale di senso si può costruire grazie al digitale e che le notizie di carta sono molto meno permanenti, consentono molte meno …