Interno giorno. Treno. Stazione di Rho Fiera Milano.
Sale una ragazza, sta in piedi finché il treno riparte e il mio vicino di posto si alza per prepararsi a scendere. La ragazza si siede accanto a me, tira fuori uno smartphone di ultima generazione con lo schermo enorme – di quelli che io, che sono un po’ vecchio, ormai, farei fatica a portarmi dietro, più che altro per paura che possa succedere qualcosa all’oggetto, apre Instagram e inizia a creare una Story.
Sono praticamente costretto a guardare, per non farlo dovrei stare innaturalmente girato dalla parte opposta, in faccia all’altro vicino di posto. Quindi, già che ci sono, guardo.
Il tempo che dedica alla creazione della Story, che da queste parti abbiamo teorizzato nel quaderno della comunicazione visiva abbiamo provato a teorizzare come una specie di fumetto transmediale è davvero il minimo. Prende un’immagine in verticale. Poi comincia a far delle prove di testo, estremamente basico. Sceglie un hashtag, fa una menzione, evidenzia un pezzo di testo, lo sposta qua e là con un dito. In pochi minuti il segmento della Story è fatto.
Poco dopo, la ragazza va sul profilo aziendale che gestisce, fa tap su uno dei post, clicca su “metti in evidenza”, crea un pubblico scegliendo un interesse, mette 3 euro al giorno per dieci giorni e lancia la campagna. Dopo due fermate scende.
Vogliamo analizzare insieme quante cose ha fatto questa ragazza in uno di quelli che gli americani chiamano “snap moments” e che solo parzialmente potremmo tradurre come “attimi”?
Questa ragazza ha ideato un contenuto composto da immagine, testo, elementi nativi di una piattaforma (hashtag e menzione). Poi ne ha presa un’altra, già pronta, e le ha associato una campagna di marketing, definendo un budget, un pubblico da raggiungere e avviandone la distribuzione. Il tutto, nel tempo di viaggio tra Rho Fiera e Milano: 15 minuti circa.
Ora, forse vorresti vedere le condivisioni in questione. Ci ho pensato e sarebbe davvero troppo invadente: già così ho spiato anche troppo. Ti basti sapere che le foto erano decenti ma il complesso abbastanza mediocre e in effetti rivedendoli poi su Instagram sono contenuti che non hanno avuto successo nemmeno nel magico mondo delle metriche quantitative prese a caso. Vorrei poter guardare gli Insights, i dati “da dentro” ma, consentimi la presunzione, non ne ho bisogno. Interazioni ridicole, apprezzamenti ridicoli.
Eppure quella ragazza ha lavorato. Per capirci meglio e per dire le cose come stanno, ha riempito una breve sequenza di attimi con un’attività lavorativa che però ha svolto come avrebbe svolto la pubblicazione di un suo contenuto personale su una piattaforma social. In buona sostanza, è l’esatto contrario del percorso creativo strutturato e ragionato che abbiamo raccontato parlando del Centro Meteorologico Lombardo.
È un’attività, quella complessa della creazione di post e di contenuti e della loro promozione, che si è trasformata in una commodity? Del resto, Facebook da un po’ di tempo a questa parte cerca di indurti ossessivamente ad affidarti alle sue inserzioni automatiche, perché performano meglio, ti dice lui. Lo scenario distopico che potremmo immaginare a tendere è un social network deserto di persone nella sua parte pubblica e pieno di inserzioni create in via automatica per nessuno, mentre le conversazioni di valore si annidano sempre più nei gruppi privati. Non mi sembra uno scenario gradevole.
Quanto può valere il lavoro di quella ragazza? Tu quanto la pagheresti? Ti verrebbe subito spontaneo pensare che, allora, ci vuole un quarto d’ora per fare un post in treno, quindi in una giornata lavorativa ne può fare almeno 32 in qualsiasi posto? Pensare che magari può accelerare un po’.
È lo stesso percorso che ha trasformato moltissimi giornalisti in content creator pagati un tanto al chilo (pochissimo, di solito. Vedi tariffario del 2017 per credere). Solo che qui siamo andati molto più in fretta, se ci pensi, perché la facilità con cui queste piattaforme ti consentono di fare questo “lavoro” è impressionante e agevola la trasformazione in commodity del lavoro stesso.
Ma cosa te ne fai di 32 post fatti così? Quanto valgono? Cosa portano? Se moltiplichi la quantità di pezzi, di contenuti, di immagini con scritte che si possono fare così per tutte le persone che oggi lavorano o dicono di lavorare nel digital marketing, se pensi che le piccole o piccolissime (era il caso in questione) aziende che hanno una presenza social si affidano, molto probabilmente, a persone così, ecco che ci rendiamo conto di quanto si alimenti il sovraccarico informativo.
Nello scenario che ho provato a descrivere qui sopra c’è sia il problema sia l’opportunità nascosta (ma nascosta molto bene).
«La buona notizia», scriveva Mizio Ratti a febbraio del 2018 in un bel pezzo dal titolo Una volta qui erano tutte campagne, «è che non ce la faranno mai: avranno sempre bisogno del nostro talento, delle nostre intuizioni e della nostra capacità di emozionarci ed emozionare gli altri. Questo, almeno finché tutta la popolazione mondiale non verrà sostituita da miliardi di chatbot».
L’immaginario è lo stesso di quell’ambiente social dove le inserzioni girano per nessuno.
D’altra parte, di cosa vorremmo lamentarci? Sono stati i grandi giornali e le grandi aziende a bombardare, letteralmente, di contenuti sostanzialmente fungibili.
Sappiamo qual è il modo per uscirne.
È puntare sulla creatività, sull’empatia, sull’umanità. È fare meno e farlo meglio. Queste cose non diventeranno mai commodity, almeno finché la specie umana non sarà sostituita da qualcos’altro.
Uscirne in questo modo signigica anche cercare di prendersi l’impegno di rendere più gradevoli gli ambienti in cui ci troviamo, anche quelli social.
A margine di tutta questa serie di considerazioni, che pure prima o poi avremmo dovuto affrontare anche qui e che non possono non far parte del nostro percorso, qui ci sono alcuni spunti per approfondire
- la trasformazione del lavoro in commodity non riguarda solo i vari mestieri che fanno le persone servite da Wolf. Anzi, siccome qui siamo piuttosto ottimisti circa il futuro dei creativi e di quello delle community. Ci sono lavori che stanno messi davvero peggio. «Ci rendiamo conto di quanto sia rischioso avere una classe politica e sindacale impreparata alle dinamiche in atto?» (cfr. Econopoly)
- ti consiglio vivamente la lettura di questo report dell’Unione Europea che si intitola The Impact of the Digital Transformation on EU Labour Markets. Ci ritorneremo.