De Correspondent ha fatto, nei Paesi Bassi, un crowdfunding da 1,8 milioni di dollari.
Qualche anno dopo, The Correspondent, la sua versione in inglese, ha fatto un crowdfunding da 2,6 milioni di dollari. L’abbiamo raccontato in “Come si fa a far funzionare un crowdfunding“
La missione dichiarata di The Correspondent è: unbreaking the news.
In altre parole, con un manifesto, i fondatori del nuovo giornale hanno spiegato come bisognerebbe, secondo loro, rivedere l’intero mestiere del giornalismo.
La seconda raccolta fondi è nata prevalentemente negli USA, con una campagna che ha visto in azione il furgone di The Correspondent in svariati luoghi iconici degli Stati Uniti, alcuni mentori sempre provenienti dagli USA e due passaggi importanti in tv, di Jay Rosen (ambasciatore del progetto) e di Rob Wijnberg (direttore), rispettivamente in un late night e alla CNN.
Dopo la fine della raccolta fondi, da The Correspondent hanno annunciato che non avranno una sede fisica a New York.
Questo ha generato una serie di critiche che sono poi sfociate in un pezzo sul Niemanlab, autorevole testata della Nieman Foundation, la cui missione è di «promuovere ed elevare gli standard del giornalismo».
Il tema principale della critica? The Correspondent ha, di fatto, promesso una versione “USA”.
Questa versione doveva prevedere una sede a New York.
Alcuni “ambasciatori” del progetto hanno dichiarato di essersi sentiti “traditi” (fra di essi addirittura Nate Silver e David Simon).
That’s 2 very prominent “ambassadors” for @the_corres who today said they felt misled: @NateSilver538 + @AoDespair.
It’s been 3 days since our story and no response from @the_corres or its founders.https://t.co/mZrhAymytKhttps://t.co/p1tQL4yAxvhttps://t.co/IhVChioVwg pic.twitter.com/6R4VrWah06
— Joshua Benton (@jbenton) April 29, 2019
Ho letto attentamente il pezzo sul Niemanlab. E ho letto le dichiarazioni di chi si sente tradito e vorrebbe addirittura che The Correspondent restituisse i soldi.
Qual è il problema, mi chiedo da sostenitore del progetto dall’Italia?
La sede? Se il problema, nel 2019, è la sede, chiudiamo tutto e dedichiamoci ad altro.
Per esempio, a contare tutte le volte che una testata ha aperto una “sede” digitale senza mai davvero abitare la rete.
Ma no, non stiamo parlando della sede.
And to be clear we were not discussing a physical office space so much as US-based reporting with the first hires being likely based in NY, with a holes for expansion thereafter. The US-based talent and voice was key for me, even if home-base was overseas.
— David Simon (@AoDespair) April 29, 2019
La copertura USA, allora? Be’, Jay Rosen ha spiegato abbondantemente il punto: la missione era quella di diventare un brand globale. Rosen ha anche ammesso che hanno sbagliato a comunicare e che non hanno mai inteso che il punto cruciale della loro operazione fosse aprire una redazione a New York e coprire fatti che riguardano gli U.S.A.
La fiducia tradita? Forse il punto è questo. Nessuno vuole esser tradito da un giornale, giusto? Io, personalmente, sono stato tradito un sacco di volte dai giornali. Da Timisoara al riscaldamento globale alle armi di distruzione di massa in Iraq, dalla propaganda alla mis-informazione. E li ho perdonati un sacco di volte.
Questa volta mi sento tradito? No.
Sì, ok, va bene. Potevano dirlo meglio, dell’ufficio (o meno) a New York.
E sì, hanno fatto una campagna massiccia con base USA, costruito relazioni in USA, avuto finanziatori americani.
Ma questo, per me, è un saggio uso delle leve che fanno funzionare una campagna di crowdfunding. Personalmente, non avrei mai finanziato l’ennesimo progetto americano e USA-centrico. Ho finanziato volentieri un’idea di giornalismo radicalmente diversa da quella che pratichiamo.
Per essere sicuro di quel che avevo capito della loro campagna, fra l’altro, sono andato a rileggermi quel che avevo scritto sul libro Slow Journalism (che ho scritto con Daniele Nalbone ben prima che scoppiasse questa polemica). Io l’avevo capita così: «Nel 2013 è nata una start up giornalistica in Olanda, sfruttando la notorietà dei propri fondatori e un’ottima preparazione di base sulla modalità di finanziamento chiamata crowdfunding. Cioè: mi rivolgo a te, pub- blico là fuori, chiedendoti di sostenermi per il mio la- voro. Di solito, sulla fiducia. Pianificato bene, realizzato meglio, il crowdfunding di De Correspondent, nella sola Olanda porta 15.000 persone a donare, in tutto 1,3 milioni di euro.43 E poi i suoi fondatori hanno deciso di fare il salto, provare il lancio in inglese e pianificarlo per due anni prima di partire […] il De Correspondent internazionale ha ha fatto un altro crowdfunding-record e in un mese ha riunito oltre 45.000 persone da 130 paesi diversi che hanno donato, a dicembre 2018, oltre 2,6 milioni di dollari».
Insomma: a me era chiaro fin dall’inizio che la sfida di De Correspondent fosse quel che promette di essere: diventare internazionale, unbreaking the news.
Non so voi, ma io deciderò se sarò stato tradito o meno qualche mese dopo il 30 settembre 2019, quando potrò finalmente leggere il primo articolo di The Correspondent, la prima serie di articoli, e giudicare il loro prodotto e il loro approccio e il loro lavoro giornalistico.
Fino ad allora, questa storia mi sembra un attacco di cui non si sentiva proprio il bisogno. E mi sembra proprio quel vecchio giornalismo che cerca i problemi e non propone le soluzioni, fraintendendo il proprio ruolo di watchdog.
A proposito: nel frattempo, da The Correspondent si sono scusati. Ovviamente non basterà ai critici. A me basta.
Da portare a casa
Quel che possiamo imparare da questa storia (è questo l’obiettivo di Wolf) è che
- quando crei una campagna (o un prodotto) che si basa sulla trasparenza devi sempre pensare a tutto quel che dichiari e fare in modo che quel che dichiari corrisponda a realtà, nei minimi dettagli. Pianifica la tua comunicazione, fallo fare a qualcuno che ha esperienza, che studia e pratica questo tipo di cose
- per quanto pianifichi, qualcosa andrà male. Ci sarà sempre qualcuno che non vedrà le cose a modo tuo. Per quanto tu sia capace di raccontare la tua visione e quel che farai, se cambierai qualcosa in corso d’opera ricordati di comunicarlo correttamente. Non è detto che basti, ovviamente
- scusati sempre, se le reazioni di gruppi di persone ti suggeriscono che potresti aver sbagliato. Ma scusati tenendo saldo il tuo punto (fra le righe The Correspondent ha il tono di voce un po’ frustrato di chi dice «ehi, amici: volevamo cambiare il mondo del giornalismo, non aprire un ufficio a New York»). Prepara bene anche il tono di voce con cui ti scuserai. A qualcuno non andrà bene nemmeno quello
- ad un certo punto, lascia perdere le polemiche e torna al lavoro
(AP)