«No puede ser que estemos aqui para no poder ser»
«(Aunque estemos destinados a no ser)»
— Julio Cortázar
La qualità con cui sappiamo immaginare il futuro dice molto di noi.
Facciamo molta ironia quando un imprenditore di successo destina una parte consistente del suo patrimonio sulla qualità del futuro dei suoi e dei nostri figli. Penso a Bill e Melania Gates, penso a Mark Zuckerberg, ovviamente. Se poi gli imprenditori di successo anziché devolvere il patrimonio proprio lo investono nel futuro peggio ancora. Tipo, se Richard Branson e Elon Musk vogliono colonizzare lo spazio (deportarci su Marte?), vengono subito bollati come dei pirati, dei senza patria, dei rettiliani, qualcuno segretamente arriva persino a insinuare che tifino bianconero.
Quando un’amministrazione comunale italiana s’indebita comprando titoli derivati che finanziano il ciclo elettorale e lasciano il cerino di milioni di euro in passivo ai sindaci successivi storciamo il naso e di solito ironizziamo di meno (la finanza è difficile da capire, in fondo). Sarà. Come nelle fiabe però è tutto un sogno o c’è il lieto fine e tutto infine vanisce in una bolla di sapone.
Insomma, tutto questo per dirvi che oggi su Wolf proviamo un piccolo esercizio di grammatica della fantasia e tentiamo insieme di immaginare il futuro. Non è la prima volta e non sarà l’ultima*.
Fai così.
Dai spazio all’immaginazione e pensa per un attimo a un numero grande a piacere.
Fatto?
Sergey Brin e Larry Page devono aver pensato a un googol (10^100, ovvero 10 elevato alla centesima potenza). Molto probabilmente non stavano ancora pensando al saldo del loro conto corrente. Da autentici visionari pensavano innanzitutto a come mettere l’intero scibile umano alla distanza di un click. Non sappiamo se ci siano (ancora) del tutto riusciti. Certo è che ci sono andati molto vicini, non senza una execution eccezionale. Non senza monetizzare profumatamente il progetto.
Alla Oesterreichische Nationalbank (OeNB), la banca centrale austriaca, invece hanno pensato al numero 100. Più misurati.
Cento anni. Probabilmente è il tempo che serve per enumerare da 0 a Googol, il numero pensato dai ragazzacci di Google.
Ma la Mittel Europa, si sa, è ligia, azzimata e seriosa. Per i banchieri viennesi quei Cento anni sono innanzitutto il tempo prefissato per mandare a scadenza le nuove emissioni del Tesoro austriaco. Una bella prova di hybris, forse spiegabile col bicentenario della fondazione: la Oesterreichische Nationalbank (OeNB) è stata fondata infatti il primo di giugno del 1816. Giusto un anno e una settimana dalla chiusura del Congresso di Vienna, che probabilmente vi ha perseguitato nella vostra frequentazione delle scuole patrie di ogni ordine e grado.
Facciamo un balzo in avanti di 100 anni, già che ci siamo: eccoci al giugno del 1916. Da allora si è visto molto di nuovo sul fronte occidentale, a partire dalla guerra di logoramento. Sarà un caso? Dalla vittoria austriaca a Caporetto in poi ci sono stati: la sconfitta bellica, il tramonto definitivo dell’Impero austroungarico, la svalutazione monetaria totale, l’ascesa dell’imbianchino coi baffetti, l’Anschluss, la catastrofe del secondo conflitto mondiale, il Piano Marshall, la Repubblica Federale d’Austria, la seconda ondata degli economisti della scuola austriaca, giù giù fino al 1989, con la caduta della cortina di ferro, e infine l’Euro.
Il caso della scadenza centenaria non è il primo e non è isolato. Nel giugno scorso addirittura l’Argentina (sì, proprio la nazione pluridecorata al default, 12 volte andata fallita negli ultimi 60 anni) già aveva lanciato un titolo centenario. Trattandosi di un’economia dal rating declassato a Junk (classe di merito B, e il debito argentino B3, per i più precisi), con un tasso d’interesse del 25%, Il Tesoro di Buenos Aires ha deciso di denominare il prestito in dollari, in modo da non poter usare direttamente la leva del cambio. Il rendimento annuo è di circa l’8%, quasi un cartello con su scritto «rischio assai elevato».
Prima di proseguire con le cautele da economista, ti devo una pur minima spiegazione del perché ti propongo un argomento tanto esotico quanto poco erotico.
Per dirla con McLuhan, denaro, scrittura e informazione sono facce delle stesso medium.
«Money as a social medium or extension of an inner wish and motive creates social and spiritual values…» (Marshall McLuhan, Understanding media, 135)
Se questo è vero, il modo in cui diamo forma al medium denaro non riguarda solo la verticalità della finanza ma è espressione profonda di come una comunità si racconta, i propone e si rappresenta. Allargando la visuale, una emissione di 25 miliardi di dollari a scadenza secolare che riesce a essere collocata ci racconta di un mercato disperato, azzoppato dai tassi d’interesse nulli e dalla deflazione, un mercato che si avventa su tutto ciò che si muove.
Zero Hedge, testata online di riferimento per la controcultura finanziaria mainstream, la tocca piano:
«For now, courtesy of $19 trillion in excess liquidity created by central banks, the concept of “junk bonds” does not really matter. Soon, however, investors will be reminder just why this designation was created.»
Non fa nulla se l’Argentina e il Messico sono freschi di default e non hanno alcuna credibilità. Quel che conta è una scommessa altamente speculativa che paga una cedola annua dell’8%. Se tutto va bene. Altrimenti «tra cento anni il debito lo ripagheranno gli scarafaggi».
Ma l’Argentina è in buona compagnia. L’Austria è una nazione apparentemente più solida e nei giorni scorsi ha anch’essa proposto la sua emissione centenaria. Dico apparentemente più solida perché i rischi connessi alla banca e alla finanza di area germanica sono radicati anche a Vienna (ne sa qualcosa UniCredit, che ci sta mettendo oltre un decennio e non poche incagliature nel riqualificare il proprio portfolio, non ultimo dei problemi è appunto il nodo austro-tedesco). Ma non è solo una questione di merito creditizio. Ci sono anche prestigiosissime istituzioni private come il MIT che nel 2016 hanno emesso 550 milioni di dollari in obbligazioni a scadenza centenaria.
Professando io una medio-stretta osservanza mcluhaniana, per me il denaro è un medium a tutti gli effetti e chi si occupa di media farebbe bene a chiedersi che prospettive ha un mondo che bluffa sistematicamente nell’immaginare il proprio futuro. Certo, col cappello di Slow news verrebbe di simpatizzare con strumenti finanziari con scadenze così lente. Un prestito ritardante per lui, euforizzante per lei (la finanza locale). Bello! Tuttavia se le curve di obsolescenza tecnologica si sono TUTTE impennate, e il denaro è a tutti gli effetti una tecnologia, una scadenza centenaria fa sorridere. Indipendentemente da prestigio e dalla hybris dell’emittente.
Un buon criterio per rendere sostenibile il lungo periodo (quello in cui keynesianamente «siamo tutti morti») passa innanzitutto dalla messa in sicurezza del medio-breve. Io non credo nell’efficacia dei controlli dal centro, ma rimane il fatto che qualunque intervento serio in tema di speculazione passa gioco forza da una drastica riforma del sistema borsistico nel suo complesso, come propose Henry Simons, che, scrive Alvi:
«derivò infatti la necessità d’una riforma drastica del denaro e delle istituzioni del patrimonio, che definitivamente ne risolvesse l’instabilità. La costrizione delle banche a una riserva del 100 per cento, la modificazione del debito pubblico in obbligazioni senza interesse, oppure idealmente perpetue, la limitazione dei mercati finanziari all’esclusivo finanziamento a lunga erano le circostanze ideali da perseguire. Solo esse nella loro rigidità avrebbero potuto limitare le oscillazioni della velocità di circolazione evitando gli accumuli e i precipitosi decumuli di capitale fittizio, garantendo un’autentica efficacia alla costanza dell’offerta di moneta».
Le istituzioni finanziarie, dalla FED & BCE alle varie Commissioni di borsa nazionali, si sono dimostrate inefficaci se non incapaci di regolamentare il rischio del trading algoritmico. Sono molto in difficoltà nel riperimetrare la sovranità delle istituzioni finanziarie nell’avvento delle criptovalute (denaro privato, extra-territoriale il cui impatto è ancora tutto da comprendere, attutire e valutare.
Le scommesse (semi) perpetue (come le chiamano gli anglosassoni) vanno bene solo in un mercato drogato di liquidità incagliata, che non trova sbocchi ragionevoli soprattutto nei mercati obbligazionari.
Forse ha ragione San Paolo, che nella lettura che ne dà Giorgio Agamben dice che il tempo messianico, il tempo che salva, è «il tempo che il tempo ci mette per finire».
E con San Paolo, a maggior ragione hanno ragione gli Argentini e i latini, sapendo bene che il futuro non arriverà mai a compimento.
Mi viene in mente una delle grandi passioni di Brian Eno: gli orologi che misurano solo il lungo periodo. C’è un libro molto nerd e molto buonista, a cui ha scritto una prefazione. S’intitola The Long Now, da me ribattezzato «dell’illusione della durata». In ossequio alle metriche spazio-temporali delle galassie rispetto al breve volgere della vita umana, vi si narra di orologi atomici piazzati nel deserto, che misurano solo i decenni, o i secoli:
«I want to build a clock that ticks once a year. The century hand advances once every 100 years, and the cuckoo comes out on the millennium. I want the cuckoo to come out every millennium for the next 10,000 years».
Tutto molto affascinante, con una piccolissima riserva che è arduo nascondersi: se la vita è messa a repentaglio di continuo dalla velocità, dalla repentinità, forse non basta bandire la consultabilità degli orologi da polso. Meglio sarebbe impegnarsi in un concreto patto sociale che regoli diversamente l’impatto sovversivo dell’istante.
C’era un mio caro zio romagnolo genio, che amava destinare all’ozio e alla nullafacenza la totalità delle sue giornate. E ogni volta che qualcuno lo riconduceva alle piccole grandi incombenze quotidiane, e ad esempio gli chiedeva se avesse innaffiato l’orto, rispondeva in dialetto: «E chi ha avuto tempo?».
Chi scrive va verso i 50, con calma. La generazione dei nostri padri si è goduta gli anni ’60-’70-’80 contraendo un enorme debito pubblico. In un certo senso è un caso di bond centenario anche questo, e qualcuno (noi e i nostri discendenti?) sarà chiamato a ripagare*.
Forse. Non lo so, non mi convince del tutto. Nel senso che col passare degli anni i contesti cambiano, le intestazioni si rinominano, il Welfare andrà totalmente ritracciato e a quel punto anche il debito pubblico dovrà essere rimesso sul tavolo, o rimesso del tutto. Già con l’Euro molte regole sono cambiate, le logiche anche, la possibilità di fallire non è esclusa per nessuno. Io non sto a dire se sia stato giusto o sbagliato indebitarsi e non so cosa avrei fatto al posto loro. In fondo monetizzare un vantaggio immediato è anche funzionale al benessere della comunità presente, dei figli qui e ora, e bisogna pur farli dei nipoti, devono esserci le condizioni, per poter eventualmente lasciar loro un debito cospicuo, un buco nero dedicato alla comunità che viene, di nipoti e bisnipoti.
Provo a considerare il tutto in un altro modo. Cambio prospettiva.
La finanza in fondo è un genere letterario.
Qualcuno ha provato a immaginare i noiosissimi millenni in cui la letteratura non esisteva: cosa facevano tutto il giorno i cripto-letterati? Non è la prima volta che la letteratura argentina ci dona animali fantastici. Mi piace pensare che il debito centenario non sfigurerebbe tra il gallo celeste e la lepre lunare.
Il debito piratesco è un errore? Con ogni probabilità. Ma «in ogni errore giace la possibilità di una storia», scrive Rodari. E il debito austriaco non è una prosecuzione farsesca dell’Azione Parallela dell’Uomo senza qualità? E il Messico? Vogliamo privarci del sottile piacere di uno stallo alla messicana tra debitori? Prima (pago) io o prima tu?
Se vi va, fatela una ricerca su Google e scoprite quali sono i paesi e le aziende emittenti di debiti perpetui (spoiler: c’è anche UK). E non dimenticate John Law e i tulipani olandesi, le finanze del Re di Francia, la Compagnia delle Indie Occidentali e altre derive meravigliose dell’immaginazione intinta nella credulità popolare.
Pensateci: se la finanza è davvero un genere letterario la sospensione dell’incredulità è annoverabile di diritto tra i patti sociali. Io voglio un futuro in cui salgo su Fafner, il mitico pulmino drago Volkswagen rosso di Julio Cortazar e Carol Dulop, e insieme scendiamo la cordigliera a esigere il conto dei tesobonos casa per casa.
PS: ho messo un paio di *asterischi* nel pezzo perché fa chic (e per insinuare alea: un colpo di asterischi non abolirà mai l’azzardo).
Poi uno dice la grammatica della fantasia: guardate le nuove banconote argentine, con effigiati gli animali autoctoni…
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