Dal prodotto all’esperienza, e come gestirla

Tu non vendi un prodotto. Offri un servizio.

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Tu non offri un servizio. Fai vivere esperienze.

Queste frasi, messe lì così, potrebbero sembrare i soliti mantra ripetuti a caso, vuoti e svuotati di ogni significato. Finché qualcuno non ti fa vedere un caso di studio e non ti fa toccare con mano che ci sono esempi molto interessanti che spiegano in maniera pratica che cosa voglia dire esperienza.

Questa volta, a differenza di molte altre in cui, su Wolf, ci concentriamo su casi che gestiamo personalmente, ti parlerò di un caso non mio, in cui sono parte dell’esperienza come cliente, consumatore, persona.

La storia della Fender

La  Fender Electric Instrument Manufacturing Company è stata fondata da un signore di nome Clarence Leonidas Fender, detto Leo, nel 1946

In poche parole, la Fender è una delle marche più conosciute al mondo di strumenti musicali. In particolare, di chitarre elettriche e bassi elettrici.

Il suo prodotto di punta è la Fender Stratocaster. È un prodotto talmente famoso da essere diventato in qualche modo la chitarra elettrica per antonomasia, l’idea kantiana di chitarra elettrica. Buddy Holly la suonò in televisione nel 1957, all’Ed Sullivan Show. Fra i musicisti che l’hanno suonata: Jimi Hendrix, Dave Murray, Eric Clapton, Mark Knopfler, Frank Zappa, David Gilmour, Rory Gallagher, Kurt Cobain, John Frusciante, Max Cottafavi, The Edge, Eric Johnson, Billie Joe Armstrong e molti, moltissimi altri.

È un prodotto che viene venduto ancora oggi, più di 60 anni dopo la sua creazione.

Per un certo periodo di tempo, molto significativo, la Fender è stata di proprietà della CBS (sì, il network!): nel 1963, infatti, Leo aveva venduto la sua azienda per 13 milioni di dollari. Tutto bene per un po’: grandi successi, collaborazioni importanti con musicisti, ma poi il percepito del marchio, nell’era CBS, comincia a crollare. E va a finire che nel 1985 la CBS decide di vendere l’azienda, ormai in crisi.

In una storia che assomiglia un po’ a quelle che ha raccontato Barbara D’Amico nella serie La responsabilità è un’impresa, William “Bill” Schultz (all’epoca presidente della CBS Musical Instruments) guida una campagna fra i lavoratori e le lavoratrici della Fender, che si ricomprano tutto trasformando l’azienda nella Fender Musical Instruments Corporation che esiste ancora oggi.

Il percepito risale, anche perché si ritorna a una produzione di maggior qualità, e la Fender torna a contendersi il palco fra gli appassionati, in un dualismo con la Gibson che dura ancora oggi.

Naturalmente, intorno al brand, in decenni di storia, si creano mitologie, identificazioni, e tutto quel che succede quando si diventa popolari, ancorché di nicchia (mica tutti suonano chitarre o bassi elettrici).

Il prodotto, però, è sempre quello: chitarre e bassi elettrici (e tutto il mondo fisico che ci gira intorno). Forti della mitologia che si è costruita, come si fa a prendere tutto questo e trasformarlo in servizio e poi in esperienza?

Semplice! (si fa per dire, eh). C’è la subscription economy!

Raccontata da un claim quasi perfetto, che sembra quasi di poter vedere nel momento in cui viene ideato e poi sottoposto a revisione e quindi a prototipazione e poi reso vero: «Non fabbrichiamo chitarre, facciamo chitarristi».

(in inglese suona meglio ed è inclusivo, ovviamente).

Ed ecco che la Fender, improvvisamente, diventa contemporanea. Il prodotto non sono (solamente) le chitarre ma diventa una app. Una app all’interno della quale puoi abbonarti ai corsi di Fender. Tenuti dai migliori musicisti del mondo, ti dicono. Corsi realizzati per servire al meglio i clienti Fender che vogliono imparare a suonare.

Guarda com’è fatta la landing page di Fender Play. C’è tutto quel che dobbiamo imparare. Analizziamolo insieme.

Taglio alto: la value proposition.

Impara a suonare dai nomi più affidabili nel mondo della musica.
Poi: un video di spiegazioni, che ti mostra come funziona.
Call to action quasi irresistibile: “Inizia a suonare ora!”
Tre blocchi che ti mostrano

  • lezioni passo-dopo-passo (c’è uno screenshot dalla parte della app che ricorda, ovviamente, le forme più evolute di e-learning)
  • facilità di seguirle (l’inquadratura sulla mano della melodia ti suggerisce facilità di apprendimento per imitazione della diteggiatura, e conferma anche quel che vedrai o hai già visto nel video: i video sono girati in modo che chi suona ti mostri in tutti gli aspetti di quel che devi fare, ogni lezione è girata con un’inquadratura frontale, una sulla mano della ritmica, una sulla mano della melodia)
  • possibilità di tracciare i tuoi progressi (un po’ di gamification e la sensazione di imparare davvero aiutano!)

Nuovo blocco, altra call to action perfetta: «Suona le canzoni che ami». La foto ti mostra una possibilità di fruizione della lezione e il fatto che avrai anche gli spartiti di canzoni famose.


Nuovo scroll, altri blocchi interessanti.

Primo: perché perdere l’occasione di collegare fisico e immateriale? Ti abboni a Fender Play? Eccoti lo sconto sulle corde!
Un altro esempio sul funzionamento della app.
Un blocco dedicato alla sua facilità, call to action ancora di quelle che ti fanno venire l’acquolina in bocca se vuoi imparare a suonare: «Prova. Suona un riff in 7 minuti».

Quindi, un altro importantissimo elemento della subscription economy: il periodo trial (prova grats) e la possibilità di cancellare l’abbonamento quando vuoi (ti ricordi tutti i discorsi sulla frictionless, vero? e sulla differenza di esperienza in ingresso e in uscita), ormai un must have.

Infine: ultimo blocco di home (che, come vedi, non è infinita).
Primo: varietà di lezioni. Mica solo chitarristi, fabbrichiamo anche suonatori di ukulele e di basso!
Secondo: le schede di chi ti insegna nella app.
Terzo: la social proof che viene da Vice (testata scelta probabilmente perché in target con il pubblico potenziale, e poi riutilizzata, per esempio, in alcune campagne social)

In realtà, in tutte le campagne social non si fa altro che riprendere le varie sezioni studiate della landing page per far leva sulle medesime aspettative, sui medesimi bisogni, paure, problemi del pubblico potenziale.

Tutto bene, dunque, ma i soldi? Ché è qui che casca l’asino, giusto?

Bene. Nel 2020 Fender ha venduto più chitarre di sempre – complice la pandemia, probabilmente.
E con una strategia aggressiva (tre mesi gratis) si è portata a casa 930mila iscritti alla app, su cui poi, ovviamente, farà retention e tutte le offerte del caso.

Abbiamo visto un pezzetto del sito per chi conosce il brand, abbiamo visto velocemente che c’è a supporto un forte investimento sulla pay nei social.

C’è poi la newsletter. Ecco qui alcuni esempi di titoli e di contenuti

Poi ci sono i giveaway, che sono un pezzo dell’esperienza in quanto parte della community

E ancora, per la community, i live show oppure le canzoni più suonate e più richieste.

E i contenuti fatti anche per la SEO o come pilastro! Per esempio, questo, o questo.

Insomma: tutta la presenza digitale di Fender si sposta dal prodotto all’esperienza e “nutre” l’esperienza delle persone che ci ruotano attorno o ci sono già dentro.