Domenica ho passato tutto il giorno in casa, ma diversamente dal solito, non ho accesso nemmeno una volta il computer e ho guardato massimo un paio di volte le notifiche del cellulare. Ho passato la giornata — dalle 10 circa alle 20 — tra libri accatastati per terra e polvere che riempiva l’aria. Il mio obiettivo era fare qualcosa che ho sempre sognato di fare. Ordinare i miei libri seguendo un ordine particolare, che se ne infischia dell’alfabeto, della tematica, del formato e del genere: l’ordine cromatico, l’unico ordine che non lascia nessun elemento fuori e che, oltre ad essere molto bello da vedere, per uno come me la cui memoria è soprattutto visiva, è una vera e propria manna.
Perché ne sto parlando qui su Wolf, ovvero in un contenitore in cui mettiamo solo valore aggiunto, strumenti ed esperienze che migliorano la vita, soprattutto lavorativa? La risposta è già dentro la domanda. Perché domenica, affrontando quel lavoro immenso e non di rado frustrante e faticoso, ho imparato una cosa molto importante: il valore dell’organizzazione, la potenza di muoversi con un piano editoriale in mente.
Non importa che vi sia capitato o meno di fare una operazione del genere. Ma tirare giù dagli scaffali tutti i vostri libri e rimetterli su con un ordine che non è esattamente univoco (almeno, non lo è come l’rodine alfabetico) non richiede soltanto la pazienza di un lavoro che impiega 10 ore del vostro tempo, né soltanto la resistenza richiesta da un lavoro fisico. C’è infatti un dettaglio fondamentale che rende un’operazione del genere diversa e peculiare rispetto a tantissime altre: la complessità.
È una cosa di cui ti accorgi al primo scaffale che tiri giù, quando i primi cumulonembi di polvere velano la vista del fondo della tua camera. Succede la prima volta che guardi per terra. Lo capisci subito che non ci sarà mai abbastanza spazio per appoggiare tutti i libri per terra e, contemporaneamente, averne ancora per disporli in un altro ordine: ti serve un metodo. Sì, un metodo, un modo di procedere schematico e ripetibile che ti consenta di non perderti per strada. Perché quando si fa fatica e ci si deve concentrare, se ci si perde per strada si rischia di non ritrovarsi più.
Non so se c’è un metodo valido per tutti. Forse no. Ma so — ed è già più che sufficiente — che senza metodo avrei passato la notte a bestemmiare. Perché? Perché senza metodo mi sarei perso e, bene che fosse andata, ora avrei una libreria tutta riempita a caso, tranne magari una fila, la prima dell’esperimento, che ora mi guarderebbe con tutta la disapprovazione con cui si guarda un traditore o un debole.
Quando ti ritrovi con una libreria sparpagliata per terra il metodo diventa una questione urgente, ma nient’affatto casuale. E il metodo che ho scelto, ovviamente, non è stato dettato dal caso, ma da quattro elementi:
- L’obiettivo della giornata
- Il tempo che avevo a disposizione
- La forma della realtà che avevo intorno
- La forma della mia mente
Mentre pensavo a come riuscire a non ritrovarmi sepolto dai libri e, nello stesso momento, a come avanzare nell’ordinamento cromatico senza dover rifare tutto ogni dieci minuti, stavo affrontando la seconda fase di un processo quadrifasico che si chiama loop di OODA, acronimo di Orientarsi, Osservare, Decidere, Agire (è un concetto che abbiamo introdotto in un articolo sul numero 130 di Wolf, che si intitolava La ballata dei certificatori terzi. Una volta osservate e calcolate tutte le variabili e le condizioni di lavoro, quindi prendendomi il tempo necessario per ragionare e non agire d’impulso, ho capito una cosa fondamentale, ma leggermente controintuitiva, a cui, se me ne avessero parlato prima, non avrei creduto: per mettere in ordine 2000 libri bisogna lavorare modularmente, senza toglierli tutti insieme buttandoli sul pavimento e iniziando a mettere insieme dei piccoli frattali del disegno finale (su Wolf 162 anche Filippo Pretolani ha parlato di frattali e di loro applicazioni).
Al frattale ho capito un’altra cosa che non avrei mai pensato potesse essere così decisiva in una operazione del genere: il prototipo.
La realtà con cui avevo a che fare, infatti, non era una semplice libreria compatta, fatta di X scaffali tutti uguali. Era più complessa, come accade sempre quando non si lavora con gli archetipi delle cose presenti solo nella mente di dio. A realtà particolare, serve un ordine particolare. Per questo ho pensato, prima ancora di aver messo un solo libro nel nuovo ordine, di testare quel che pensavo di fare su un prototipo, ovvero su un singolo scaffale che rappresentava l’intero spettro.
È così che ho capito che, per esempio, visto il numero eccessivo di libri bianco-grigi rispetto agli altri, il bianco lo avrei dovuto piazzare in mezzo allo spettro, e non, come si vede se si cerca su google “libri ordine cromatico”, dal bianco al nero.
Una volta deciso il metodo — modulare e basato sui frattali — e il mio nuovo obiettivo su misura — non genericamente ordinarli cromaticamente, ma ordinarli cromaticamente seguendo le caratteristiche della mia libreria e dei miei libri, ovvero personalizzare — ho agito, arrivando alla quarta fase del loop OODA.
Il risultato finale è questo che vedete in foto. È stato necessario il lavoro di due persone per circa 8 ore, con pausa pranzo e pause ogni paio d’ore. E ora, oltre ad avere una libreria fighissima, ho anche capito che, di qualsiasi lavoro si stia parlando, è fondamentale agire con metodo, prendersi il tempo necessario, e preparare un piano editoriale per arrivare in fondo e non perdersi a metà.