Cosa succederà su internet, nei media e nel mondo della tecnologia nel 2017

Siamo a fine anno e, come di consueto, cominciano le liste di previsioni per il futuro, che più o meno hanno lo stesso valore dell’oroscopo di Paolo Fox. Ma ce ne sono alcune che sono meglio di altre, perché si basano su dati e osservazione dei medesimi. Così come nei primi numeri di Wolf ti ho proposto un’analisi delle slide di Mary Meeker, questa volta tocca a un omonimo di questa newsletter. Michael Wolf.

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Le 177 slide sarebbero tutte da leggere, ma può essere utile anche il lavoro di sintesi che ti propongo: è un commento ragionato a quel che si trova nelle slide di Michael Wolf, cui aggiungo, di volta in volta, considerazioni personali o laterali.

Il lavoro di The Activate Team si basa su dati reali e su sondaggi che includono un campione di oltre 5000 consumatori del mondo tecnologico e dei media.

Oggi vediamo insieme i primi tre punti messi in evidenza da Michael Wolf. Scopriremo che ci sono molti elementi che prendiamo in considerazione abitualmente da queste parti.

Super servizi per super consumatori (e inseguire l’unicorno dell’attenzione)

Crescono i consumi

Il primo dato – che non era difficile da prevedere – è che il consumo dei contenuti su tutti i media crescerà, almeno fino al 2020. Le aree in cui si registreranno le maggiori performance di crescita saranno i giochi e le piattaforme di messaggistica istantanea. Cresceranno anche i contenuti audio – ricordi? La radio non è morta. E prima o poi qualcuno se ne uscirà con il fatto che questo è l’anno dei podcast – e invece rallenterà la crescita di quelli video: anche questo non ci può stupire, perché lo spettatore di video diventa sempre più esigente, dovendo scegliere fra tonnellate di offerte e quindi premierà sempre di più contenuti qualitativamente elevati. Il che è un chiaro segnale per i produttori di questo tipo di contenuti. Le persone accettano qualità bassa nel video e nell’audio solo se questo è giustificato dal contesto. Per dire, un reportage sulle rotte delle migrazioni dalla Siria può anche essere girato con un iphone con immagini traballanti. Un’intervista posata no.

Anche se il nostro cervello è progettato per fare una cosa alla volta – e il multitasking reale è illusorio ed è anche tossico, una di quelle cose di cui ci si dovrebbe liberare al più presto per fare meglio – la maggior parte dei consumatori intervistati ha un approccio multitasking ai media. Non solo: il fare due cose contemporaneamente è prassi anche quando non si sta connessi. Se non mi meraviglia che si ascolti musica facendo esercizi, mi sorprende di più che durante una sessione in palestra o di cura personale ci si metta a usare sistemi di messaggistica. Poi ci ripenso e mi rendo conto che lo facevo anch’io. È uno dei motivi per cui ho disinstallato Whatsapp.

Questo multitasking – che in realtà dovremmo chiamare economia della distrazione – interessa anche il mondo del lavoro.

Ora. Io non sono un feticista della produttività. Né un feticista della crescita ad ogni costo. Penso che metodi organizzativi aperti, sulla base di obiettivi misurabili – come il metodo OKR – siano un toccasana per l’organizzazione del lavoro, che siano necessarie pause e tempi più dilatati per fare bene. Che, in altre parole, sia necessario rallentare. Ma questa slide mi sembra preoccupante. Perché non rallenti, se mentre lavori vai sui social o guardi dei video online. Soprattutto se lavori online. In più, mi pare evidente che il numero di ore sottratte al lavoro in un processo di perdita di tempo – non solo per le aziende ma proprio per le persone – sia sempre più soverchiante. In un’attività di comprensione del digitale e dell’interconnessione e di progressivo detox da ciò che non è funzionale, sarà necessario anche capire come questa commistione non fa che aumentare il rumore di fondo delle nostre giornate senza migliorarle.

Super-user

I grandi consumatori – cioè, in altre parole, il pubblico di nicchia di veri appassionati di contenuti/media e simili – passano molto più tempo sui contenuti e spendono molti più soldi delle persone che rientrano nella «media». E sono, infatti, i super-user che dobbiamo servire.

Chi sei tu, che leggi, se non un super-user per Wolf?

Chiaramente, la possibilità di monetizzare i servizi offerti ai super-user dipende anche dal modello di business. Ecco perché non è sufficiente aver individuato la propria nicchia di riferimento ma bisogna ampliare le proprie leve di monetizzazione sulla base delle abitudini e dei comportamenti di quella nicchia.

Perché se inseguire l’unicorno dell’attenzione è importante, lo è ancor di più – anche se Michael Wolf non lo dice in questi termini – quello dell’intenzione.

Le subscription salveranno il mondo. O almeno quello dei media

Anche qui, nulla di nuovo per te. Ma forse leggerlo da un guru della Silicon Valley rende più l’idea. Ne abbiamo parlato a lungo, l’ultima volta a Digit di Prato, con Pier Luca Santoro. Ma è una delle leve previste anche dal modello di business di Wolf per il giornalismo. E – piccolo spazio pubblicità – è una delle tre «S» del giornalismo (quelle vere, altro che sesso-sangue-soldi) che trovi nel mio libro (qui lo puoi acquistare senza spese di spedizione. Ma sto lavorando per un altro sconto dedicato solo agli abbonati di Wolf).

Anche se la principale leva di crescita degli introiti sul web sarà data dallaccesso ai servizi, le subscription sono e restano dominanti per la crescita.

I due modelli che dominano sono quello della subscription propriamente detta e quello fremium. Gli altri stanno scomparendo (su tutti il pay-per-download) e la tendenza continua.

Chiaramente, in questo scenario la fanno da padrone i grandi che offrono servizi video o musicali: non possiamo certo pensare di iniziare a competere, oggi, con Netflix o con Spotify. Ma possiamo trarre delle preziose indicazioni dal fatto che questi modelli si stiano imponendo fra i grandi, perché, piaccia o meno, funzionano anche per i piccoli (citofonare The Information, Zetland, Ben Thompson e via dicendo).

A livello di app non possiamo nemmeno pensare di competere con Tinder: il dating e in generale il sesso sono due volani importanti di monetizzazione sul web. Ma questo lo sapevamo già. C’è anche chi pensa che l’applicazione principale in cui troverà finalmente la sua strata la realtà virtuale sarà proprio l’industria del porno.

È interessante anche analizzare il caso della televisione e vedere che i consumatori sono più propensi a cercare offerte che comprendano più pacchetti e canali: offerte complete generano più introiti. Ma al tempo stesso sono più difficili da garantire e quindi rendono il mercato dei contenuti, paradossalmente, più scalabile persino in un contesto di crisi come questo. Nel nostro piccolo, è quello che proviamo a fare con Slow News: prima la sua versione di curatela, più generalista. Poi Wolf. Quindi Crusoe. E poi chissà.

Chiaramente, ciascuna persona non potrà sottoscrivere più di un numero finito di servizi. Quindi bisogna esser bravi a individuare il proprio pubblico e cercare di monopolizzare la propria nicchia di riferimento.

L’oligopolio della scoperta

Ho definito in un pezzo free l’oligopolio della scoperta.  Gli oligopolisti, le otto sorelle (cinque occidentali, Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, e tre cinesi, Alibaba, Tencent, Baidu), utilizzano gli algoritmi e i contenuti sponsorizzati per catturare il grosso dell’attenzione dei consumatori, attraverso la ricerca di contenuti o la proposizione dei medesimi. Sono sostanzialmente impossibili da aggirare. Ecco perché bisogna conoscerne i meccanismi (dalla SEO alle principali leve social) per utilizzarli e, contestualmente, progettare l’exit strategy.

Le piattaforme di ricerca e social hanno letteralmente schiantato i siti di news quanto a sorgenti di traffico per i medesimi. E i social sono diventati una fonte di traffico preponderante. Il che non è affatto un bene, visto che la convenienza specifica di un servizio di reti sociali è quella di tenerti al suo interno quanto più possibile.

Dall’accesso alla scoperta al consumo, queste otto sorelle controllano praticamente tutto il viaggio del consumatore.

Visto che non c’è modo di farne a meno, è bene seguire tutte le evoluzioni della SEO, capire che non c’è modo di far da sé con il modello pubblicitario e che bisognerà rassegnarsi a dividere le – sempre più ridotte – revenue con Facebook e compagnia, occuparsi poi degli assistenti vocali e delle altre forme di assistenza che Google e compagnia ci offriranno, per tentare di non rimanere incastrati in un walled garden senza via d’uscita.

Le app sono morte l’avevamo già detto, sì? Be’, se non l’avevamo detto è meglio dirlo così: le app piccole sono morte, o forse mai nate. E quindi parliamo della stragrande maggioranza.

Google e Facebook entro i prossimi 3 anni controlleranno il 73% di ogni singolo dollaro speso in annunci sul web e lo shopping online sarà sempre più dominato da Amazon e Google (con Facebook che affila le armi a suon di bot).

Allora, che speranza hanno i piccoli? La prossima slide, che è l’ultima che vediamo oggi, è illuminante (anche perché parla di piccoli che non sono per niente piccoli ma vale anche per le micro-realtà). Una delle poche speranze è quella di alimentare i fan e contribuire allo sviluppo di comunità. Da tatuarsi, da appendere in ufficio, in redazione, a casa del tuo direttore generale, nei luoghi che frequentano i decisori della tua azienda, ovunque.