Clubhouse, ovvero come affrontare l’ignoto di cui parlano tutti

Mentre scrivo siamo ancora nel pieno della fase ascendente del ciclo dell’hype nei confronti di Clubhouse, e tutti hanno già detto tutto e il contrario di tutto su questa applicazione che ha colmato un vuoto che prima non c’era. Nel senso che sta facendo per l’audio quello che altre piattaforme hanno fatto per il testo, i video, le foto, le relazioni.

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Fra le ragioni del suo successo e di chi la esalta abbiamo già visto annoverare

  • la facilità di creazione di conversazioni audio
  • la sensazione di fare radio anche se non hai mai fatto radio in vita tua
  • l’impermanenza, che è una delle più importanti caratteristiche del contenuto volatile, quello che non ha alcun bisogno di rimanere in vista a lungo, quello che non ha senso archiviare (in buona sostanza, l’innovazione introdotta da Snap(chat) e poi clonata da Facebook su Instagram)

Fra le ragioni dei detrattori, invece, ci sono più o meno le stesse ragioni di chi la esalta, solo viste al negativo, più un paio di cosettine – non da sottovalutare – che riguardano la gestione dei dati e della privacy (che fine fanno i file vocali? È vero che la mia impronta vocale può essere replicata al 100%? Ammetto che mi piacerebbe saperlo e che i problemi di privacy sono sempre più cruciali in questa fase dove la consapevolezza nei confronti degli strumenti che utilizziamo dev’essere sempre più importante).

Una delle analisi più interessanti fatta sul mercato anglofono a proposito di Clubhouse la trovi su uno dei pezzi gratuiti che scrive ogni giovedì Ben Thompson su Stratechery. Si intitola Clubhouse Inevitability. Se non hai tempo di leggerlo, te lo riassumo così. Vale più o meno per tutte le storie di successo delle piattaforme online. Naturalmente, c’è di mezzo la mia reinterpretazione, quindi dai sempre un’occhiata anche all’originale!

1 – Democratizzazione – Ti piaccia o meno, chiunque si trasforma in broadcaster di contenuti. Chiunque può produrre contenuti e trasmetterli. È l’era della sovrabbondanza (e dunque anche della sovrapproduzione) del contenuti. Questo non significa che il livello medio dei contenuti sia alto, figuriamoci. Ma è comunque un processo che non puoi cambiare: quando un prodotto diventa una commodity è praticamente impossibile – a meno di catastrofi che non dovremmo augurarci – riprodurre una condizione di scarsità.

2 – Aggregazione – Se una piattaforma riesce ad aggregare sufficientemente un pubblico, arriveranno non solo i contenuti prodotti da chi non lo fa per professione, ma anche quelli prodotti da chi lo fa per mestiere. I creator.

3 – Trasformazione – Una app che funziona su scala massiva trasforma qualcosa che c’era prima in qualcos’altro, di più facile dal punto di vista della creazione (e poi anche della fruizione). Creare e distribuire radiofonia, creare e distribuire podcast è un compito complesso. E anche fruire dei podcast non è la cosa più immediata del mondo se non hai capito fin dall’inizio il meccanismo. E poi, i podcast te li devi andare a cercare. Clubhouse trasforma la fruizione dell’audio in una fruizione da social di flusso.

Questi tre passi è bene tenerli a mente, perché fanno e faranno parte della storia dei media per un bel po’, almeno fino alla prossima rivoluzione.

Che fare, allora? Andiamo o no su Clubhouse?

Se non hai preoccupazioni aggiuntive relative alla tua privacy e a quella dei tuoi contatti (puoi sempre impedire l’accesso alla tua rubrica a Clubhouse), vale la pena di farci un giro per vedere come funziona. E puoi anche buttarti a costruire qualcosa, degli appuntamenti periodici. Con alcune raccomandazioni.

  1. Rapidità, cum grano salis. Ci sono due ragioni per buttarcisi a capofitto: approfittare del momento, dell’hype; la preoccupazione che sul medio periodo si strutturino già delle gerarchie di fruizione che poi diventano barriere all’ingresso difficili da scalare. Sono entrambe ragioni legittime. Questo non significa iniziare a far le cose a caso solo per occupare uno spazio, poi scoraggiarsi e mollare (come capita di solito). Se fai così, non farai che lavorare gratis per la piattaforma di turno (oggi è Clubhouse, domani chissà).
  2. La regola del maiale. Se produci già contenuti e pensi che Clubhouse possa fare al caso tuo, è il momento di approfittarne, ricordandoti che il contenuto è come il maiale proverbiale: non si butta via nulla. Ricicla, riusa, ripeti le cose che fai, dici, produci di solito. Non temere di risultare stucchevole. Dei grandi registi si dice – un po’ come cliché, un po’ sul serio – che hanno fatto sempre lo stesso film. Ripetere i medesimi concetti quando serve, in contesti, canali, con persone diverse, è un ottimo modo per costruirti una reputazione su quei concetti.
  3. La piattaforma relazionale. Non il digitale, ma la vita stessa è una piattaforma relazionale, se è vero che siamo animali sociali. Quindi, come al solito: non guardarti l’ombelico per raccontare al mondo cosa c’è dentro – a meno che tu non abbia un mondo interessato al contenuto del tuo ombelico, nel qual caso hai piena dignità di farlo! – ma relazionati.
  4. Applica il loop OODA. Osserva. Orientati. Decidi. Agisci. Guarda come fanno gli altri, curiosa, raccogli un po’ di materiale per capire che cosa ti sembra funzionare e cosa no: prenditi un po’ di tempo per farlo, prima di decidere cosa fare. E poi decidi. Se esserci solo per divertirti, per lurkare, o per fare un progetto. Quindi. agisci.
  5. Il cazzeggio. Come tutte le piattaforme, non la devi per forza capire e utilizzare da subito per obiettivi lavorativi. Puoi anche cazzeggiare un po’.
  6. Identità e obiettivi. La tua identità. Quella del pubblico che speri di aggregare. Gli obiettivi che vuoi ottenere. Perché non definirli da subito? Aiuta a evitare delusioni, stanchezza, la sensazione di girare a vuoto nella ruota del criceto.
  7. Fatti il piano editoriale. Sì, anche qui. No, il piano editoriale non è morto. Solo che si è evoluto. Decidi quando creerai un appuntamento, più o meno la frequenza. Magari ragiona già per “stagioni”: se vuoi fare una cosa fatta bene, ci vuole tempo e energia per farla.
  8. Buttati. Alla fine, la verità è che per capire se fa per te e ti serve, tocca sporcarsi le mani un po’ e starci dentro.
  9. Niente angoscia. Non farti condizionare dall’idea che ci siano già tutti quanti, che non ci sia più spazio, che si debba correre se no niente, ma nemmeno dal fatto che non hai niente da dire. Se non hai niente da dire lo scoprirai, e vorrà solo dire che questa piattaforma non faceva per te.
  10. Sì, prima o poi arriveranno i brand. E il gioco cambierà forma, ma magari, se ci approcciamo alle piattaforme in maniera adulta e consapevole – senza rinunciare al cazzeggio – questa volta sapremo come fare.

Questi mi sembrano i consigli più sensati per affrontare questa e altre piattaforme.

Se vuoi vedere le FAQ di Clubhouse senza passare dalla App, le trovi qui.