Che cosa significa davvero community

Esterno notte. Una chiesa ad Iowa City.

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Su un cartello luminoso c’è scritto: “Non importa chi sei o a che punto sei nel tuo viaggio della vita. Qui ti diamo il benvenuto”.

La chiesa si chiama “Congregational Church – United Church of Christ”. Insieme a questa scritta c’è – piccola, ma ho visto chiese con il medesimo simbolo decisamente più grande – la bandiera del movimento LGBTQA+.

Stacco su

Interno giorno. La medesima chiesa ad Iowa City.

Dentro ci sono ragazze e ragazzi e poi un nutrito gruppo di anziani. Insieme a Giovanni Zagni di Pagella Politica, ho una specie di posto d’onore «since you are our distinguisced speakers, today», ci dice il reverendo. Il posto d’onore consiste in un tavolo a parte, con sopra le bandierine degli USA, dell’Italia e dell’Iowa.

Alla spicciolata ma in perfetto orario rispetto al programma della nostra giornata, arrivano in tutto una sessantina di persone: sono lì per mangiare e per ascoltarci. Pagano per l’evento – l’offerta è libera – e poi con estremo interesse si sorbiscono i miei 20 minuti di discorso sulle slow news e quelli di Giovanni sul fact checking.

Applausi, domande finali che ci arrivano su una serie di foglietti scritti raccolti da una delle volontarie, Channel 4 Iowa City presente per riprendere tutto, incluso il nostro intervento. Il tutto per creare consapevolezza rispetto alle nuove sfide del giornalismo nella community.

Stacco su

Interno giorno. Una sala in un edificio polifunzionale

Ci accolgono quattro donne di un’associazione repubblicana. E ci dicono che al primo posto, per loro, c’è la community. E poi, ovviamente, “meno stato”. Ma va be’, quello ce l’aspettavamo.

Stacco su

Interno giorno. Una sala all’Università dell’Iowa

Una ragazza di 20 anni, direttrice per la sessione estiva del The Daily Iowan, ci racconta il suo lavoro e ad un certo punto dice: «A livello locale, le divisioni fra repubblicani e democratici si sentono molto meno. È più a livello nazionale, sui grandi temi, che c’è questa polarizzazione».

L’editore ci racconta che The Daily Iowan è uno dei 16 giornali universitari rimasto in piedi. Ad Iowa City è una specie di istituzione. Esiste dal 1868, il suo modello di business è una free press che si basa in parte sulla raccolta pubblicitaria locale e in parte sui donatori. Che donano un sacco di soldi. Per esempio, un milione di dollari per coprire le notizie politiche.

Il giornale è interamente fatto da studenti che non hanno alcun controllo politico o editoriale e sono completamente indipendenti. Imparano facendo. È stampato (8500 copie) dal lunedì al venerdì durante la stagione universitaria e una volta a settimana d’estate.

È considerato un punto di riferimento per la community e per questo motivo, anche se ha risentito della crisi in termini di raccolta pubblicitaria, continua a ottenere ottimi risultati in termini di finanziamento. Gli studenti non vengono pagati molto (dagli 8 ai 20 dollari a pezzo), ma fanno un’esperienza pazzesca. The Daily Iowan ha sfornato svariati giornalisti famosi e un presidente del Poynter Institute. Il livello di preparazione è impressionante, se confrontato a quello italiano, non solo a livello universitario ma anche e soprattutto a livello professionale.

Interno giorno. Un’altra sala all’Università dell’Iowa

Un gruppo di attivisti democratici ci dicono che tutto il loro lavoro consiste nel fare attivismo per la community. Ci spiegano – ma mica solo loro, è una domanda che facciamo un po’ a tutti – il meccanismo partecipativo dei caucus in Iowa.

Per chi non è fanatico delle elezioni Presidenziali americane, un breve bignami.

Durante le primarie, in Iowa, il supporto ai candidati viene espresso in questo modo: ci si raduna in un posto (una chiesa? una palestra? una sala polifunzionale?), ciascun candidato alle primarie ha un suo portavoce che fa un discorso, poi le persone si mettono in un angolo o nell’altro vicino al portavoce e così si fa la conta di chi ha più sostenitori in quel posto specifico.

(Questo è solo uno dei tanti esempi di come vanno i caucus. I repubblicani fanno comunque il voto segreto. In alcuni caucus democratici si contano i votanti con le pannocchie. Ho comprato un libro fotografico che spiega un po’ queste dinamiche).

Questo impianto umano e relazionale fa sì che tradizionalmente i candidati alle primarie si facciano il giro di tutte e 99 le contee in cui è diviso l’Iowa (o almeno ci provino), per relazionarsi con le persone in maniera umana. C’è una bellissima puntata di The Good Wife che mostra questo impegno (qui la recensione su Des Moines Register, uno dei più celebri giornali dell’Iowa). Ma ci sono anche storie vere. Tipo Barbara Bush che si fa tutta la campagna con e senza il marito. In Iowa. Uno stato che oggi conta poco più di 3,1 milioni di abitanti.

In senso pratico, i caucus, per quanto folcloristici e in parte difficili da capire per noi italiani, sono il massimo della partecipazione politica in senso comunitario e raccontano molto da vicino il concetto di partecipazione: che è fisica, reale. Ci si incontra, ci si confronta. Si può anche cambiare idea, posizione, sostegno, all’ultimo momento.

Interno giorno. La biblioteca pubblica di Iowa City

I cinque partecipanti all’IVLP, il viaggio che sto facendo, stanno colorando un disegno per bambini. È un’attività che fanno i volontari per costruire dei kit di lettura che vengono poi proposti ai bimbi di Iowa City per sensibilizzare la lettura infantile, che ha dei dati bassissimi. A ciascuno di noi viene chiesto di scrivere anche un messaggio per quei bimbi. Il mio fa così: «Credi in te, aiuta gli altri e qualche volta, semplicemente, rallenta».

L’addetta che ci segue in questa strana attività (non capiamo molto bene perché dobbiamo colorare il disegno senza un bambino con noi, ma pazienza) ci dice che questo tipo di kit di lettura aiuta molto a incrementare la lettura infantile.

Sulla bacheca fuori dalla nostra stanza c’è una foto che mostra le ore spese da alcuni volontari (i migliori di ogni anni) in attività per la biblioteca. In un caso c’è scritto 6500 ore. Tempo dedicato alla community.

Interno giorno. Aereo

Sono seduto al mio posto sul volo di trasferimento fra Iowa City e Chicago per poi andare a San Francisco. Lo stewart ha appena fatto lo show dicendo: «Ho una richiesta per i passeggeri accanto all’uscita d’emergenza: se mi sentite gridare, lasciate libera l’uscita». Risate.

Sto preparando questo numero di Wolf e sto ripensando a quello che ho scritto fin qui. Il volo dura talmente poco che l’aereo ha avuto appena il tempo di prendere quota e abbiamo già iniziato la fase di atterraggio. Ho deciso di non prendermi più tempo di quello del volo per sintetizzare.

Mentre scrivo, mi capita per le mani il volantino di presentazione dell’organizzazione locale che dà il proprio sostegno al nostro viaggio. Si chiama CIVIC. Che sta per Council for International Visitors Iowa Cities. Sul volantino c’è scritto, fra l’altro, nella sessione dedicata alla dichiarazione d0intenti (la celeberrima “mission statement”): «Attraverso la diplomazia cittadina, CIVIC cerca di promuovere la cooperazione internazionale, di promuovere la mutua comprensione attraverso i confini nazionali, di facilitare la creazione di reti professionali in tutto il mondo, di contribuire alla creazione di una cultura globale degli studenti di questa zona e dei residenti della nostra comunità».

I volontari di CIVIC hanno organizzato per noi una serie di appuntamenti coerenti con il tema del nostro viaggio, ci hanno accompagnati da un posto all’altro (quasi sempre camminando), ci hanno offerto diversi punti di vista della società in Iowa City e ci hanno anche ospitati per una sera a cena (tutto il programma di viaggio in USA prevedeva ospitalità in famiglie diverse in città diverse).

In Iowa ho capito cosa significhi davvero community.

Nella foto, la dichiarazione d’intenti di The Mill, ristorantino molto alla buona di Iowa City dove il lunedì fanno sessioni musicali “Open Mic” (significa, più o meno, che ci trovi di tutto. Ma davvero di tutto)

Significa aggregarsi intorno a argomenti di interesse, significa interessarsi al nostro prossimo, significa lavorare – anche come volontari – per servire l’interesse comune.

Sono profondamente convinto che il futuro del giornalismo risieda in questo concetto.

Sono anche profondamente convinto che un’azienda contemporanea debba dedicarsi alla propria community, sia dal punto di vista della comunicazione sia da quello delle azioni concrete intraprese nel contesto in cui opera.

Ho capito anche che, troppo spesso e soprattutto in realtà culturali distanti da quella americana, come l’Italia, si è trasformata nella solita buzzword da cavalcare senza alcun ritorno pratico, senza applicazioni reali di quel che si sbandiera ai quattro venti.

Spero che questa serie di esempi pratici sia stata utile anche a te. Perché la dura verità è che, per quanto ci si sforzi di cercarle, ancora una volta dobbiamo rilevare come non esistano ricette, pozioni magiche, panacee buone per tutti.

C’è il lavoro duro.
Il riconoscimento dei valori comuni. La progettazione delle esperienze. La creazione di momenti in cui la community si riunisce, di riconoscimenti ai membri, di valore aggiunto che si crea, ogni giorno, superando le barriere e l’idea folle che il digitale avrebbe reso tutto facile per tutti.