Il 7 luglio del 2018, sulla pagina Facebook di Enrico Mentana venne pubblicato un post che fece tremare l’internet per settimane. Cosa era successo? Semplicemente, per la prima volta da tanti anni, un importante e celebre giornalista italiano non si limitava ad annunciare di voler fondare un nuovo giornale, ma aggiungeva una cosa che nel giornalismo nostrano manca come il caldo agli eschimesi: cercava giovani giornalisti, offrendo loro un contratto e una testata per dimostrare quel che valevano.
Il risultato? Come buttare uno zipper acceso in una santabarbara: 164.629 like. 14.322 commenti. 18.841 condivisioni. In poche ore, mezza Italia del giornalismo, soprattutto freelance, tra l’incredulo e l’adorante, si prostrò ai piedi del direttore offendo il proprio aiuto, le proprie competenze, la propria passione. Un annuncio di lavoro pubblico, nel 2019, in Italia, era stato fino a quel momento ancora un miraggio in questo settore. Annunciato così, poi.
A rileggerlo ora, dopo il lancio di Open, dopo le critiche, dopo le delusioni e dopo le polemiche, quel messaggio fa riflettere.
Per due cose, in particolare: la prima riguarda il contenuto. Dalle parole di Mentana non si evince nulla del progetto che ha in mente (a posteriori sappiamo bene il perché: non aveva in mente un progetto innovativo. Open è uguale a tantissimi altri oggetti analoghi che si trovano sul web da almeno un paio di decenni),
La seconda c’entra con la forma, e dice molto anche della forma mentis di un certo giornalismo nostrano: in quell’annuncio si parla quasi esclusivamentecon la prima persona singolare. Io di qua. Io di là. Io di su. Io di giù.
Come sai, però, qui su Wolf non amiamo far girare a vuoto le pale del mulino. Del progetto Open, in fondo, e soprattutto dopo averlo visto online, ci interessa fino a un certo punto. Se ho iniziato da lui è per farti sentire ancora più forte la differenza con il suo esatto opposto, un po’ come quando bevi il bicchier d’acqua prima di bere il caffé, per sentirne meglio il sapore.
Oggi non parliamo di ego-journalism e nemmeno dell’arte varia della cialtroneria giornalistica quando si parla di “digitale”. Lì in mezzo non c’è molto da costruire.
Oggi parliamo di The Correspondent, ovvero il progetto di giornalismo partecipativo fondato ad Amsterdam da Rob Wijnberg attraverso un crowdfunding nel 2013 e che il 30 settembre sbarcherà online in lingua inglese in edizione worldwide dopo aver completato con successo il più grande crowdfunding di sempre del mondo giornalistico internazionale (lo abbiamo raccontato in “Come si fa a far funzionare un crowdfunding“. E poi abbiamo anche raccontato le successive, inutili, polemiche, in “Il problema del giornalismo è un ufficio a New York?“).
Se oggi ci interessa The Correspondent è perché anche loro hanno recentemente pubblicato una offerta di lavoro. Come potete immaginare, è molto, molto, molto diversa da quella che abbiamo visto. Prima di tutto perché quest’annuncio di lavoro parla in seconda persona, si rivolge a te.
In secondo luogo, perché leggere un’offerta dettagliata come questa ci insegna molte cose su cosa può e deve essere un giornalista per fare veramente un servizio alla propria comunità nell’anno del signore 2019.
Già l’attacco ha qualcosa da insegnare, per stile, a moltissimi annunci di lavoro che si possono trovare in giro: “Dear future collegue”. Così Rob Wijnberg inizia a parlare con il suo interlocutore, che non è affatto uno specchio o il suo ombelico, ma sono io, e quindi sei anche tu. Ma al di là di quelli che, a qualcuno, potrebbero sembrare solamente dettagli, è poco dopo che Wijnberg mette la ciccia, srotolando in completa trasparenza e onestà non solo la filosofia del suo progetto, ma anche una sorta di bigino per essere dei grandi giornalisti.
Cosa cerca The Correspondent? Rob Wijnberg, la cui sintesi è sempre ammirevole, articola il tutto in cinque punti che, se anche non li vuoi incorniciare, meritano di essere letti con molta attenzione, perché c’è un sacco di roba da imparare e da prendere come spunto non solo se vuoi cercare di diventare un collaboratore del loro progetto, ma anche se hai un progetto tuo e vuoi capire come essere veramente utile alla comunità dei tuoi lettori.
Eccoli qui, in 5 punti. Vediamoli uno per uno:
Punto 1: «You have a clearly defined beat through which you provide insight into a global, systemic phenomenon. Rather than reporting on what happened today, you focus on what happens every day. Metaphorically speaking: you cover the climate, not the weather». Ovvero:
- ti occupi di un particolare argomento
- quell’argomento non si limita a se stesso, ma serve per ragionare su una visione, per parlare di un fenomeno sistemico
- non vuole raccontare l’eccezionalità irripetibile e unica (che è poi il baricentro del concetto tradizionale di Notizia), ma la quotidianità
Il tutto, sintetizzato in un claim che se ci leggi hai già sentito più volte: devi parlare del clima, non del tempo che fa.
Punto due: «You don’t believe in the misleading ideal of journalistic “neutrality” and therefore tell your readers where you’re coming from. You understand why it’s better to be transparent about your assumptions and convictions than to pretend you don’t have any». Ovvero:
- il concetto di neutralità del punto di vista e di oggettività del giornalismo è una illusione
- invece di negare la tua soggettività, dichiarala, è più onesto e più costruttivo
Come mi disse una decina di anni fa Robert Fisk durante un’intervista sul giornalismo di guerra: «Puoi essere oggettivo e neutrale solo se parli di una partita di calcio, dove il risultato è scritto sul tabellone, dove è sempre palese chi vince e chi perde, dove puoi anche non prendere la parte di nessuno. Ma quando sei in guerra le vittime le riconosci subito, non puoi non stare dalla loro parte e pretendere di essere neutrale è semplicemente una stronzata».
Punto 3: «You keep a public notebook that provides insight into your journalistic research while you’re doing it. You don’t see this as “giving away your ideas,” but as sharing your learning curve and improving your reporting». Qua si inizia a toccare con mano che cosa significa fare il giornalista e lavorare per una comunità. E qui, il discorso di Wijnberg diventa rivoluzionario, radicale e, per noi di Slow News, quasi commovente nella sua potenza:
- il prodotto del lavoro giornalistico non è più l’articolo che esce la mattina sul giornale, è il lavoro che fai per farlo. Insomma, il giornalismo non è uno stato, è un processo.
Punto 4: «You view readers as potential sources of knowledge and experience and involve them in your research. You believe your job is not to “publish stories,” but to engage in a continuous dialogue with the people formerly known as “the audience”». Boom. Qua la rivoluzione è totale, Wijnberg ci mostra col dito fuori dalla finestra quello che ha intuito per primo qualche anno fa:
condividere con i lettori non è una dinamica unilaterale: i lettori sono una risorsa, ogni tanto ne sanno più di te, condividere con loro il tuo lavoro di ricerca migliora sia il prodotto che l’intera dinamica di comunità.
Punto 5: «You speak and write clear, fluent English. You’re also able to communicate your journalism through podcasts, videos, and/or on stage». Ovvero, dando per scontato e passando oltre alle competenze linguistiche, leggete ad alta voce la fine di quella frase. Podcast. Video. On stage. Che significa? Che come anche l’esperienza di altre redazioni — Zetland, per prima, di cui Alberto ha parlato già più volte su Wolf — anche The Correspondent ha capito che il lavoro del giornalista, un po’ come quello dei musicisti all’epoca di Spotify, non è più solo quello di scrivere il pezzo e di passare al successivo, ma è quello di trasformarlo, magari in podcast, in video, ma anche in live, di portarlo sul palco, di renderlo “drammatico”, ma non nel senso di StudioAperto, bensì in quello originale del termine, ovvero: teatrale.
Non solo. The Correspondent ti dice anche che cosa ti offre.
Essere parte di un’organizzazione che valuta le idee più dei titoli, che mette la collaborazione prima della gerarchia, la qualità prima della velocità; avere piena autonomia, lavorare con altri 70 colleghi secondo questi principi collaborativi; collaborare con i member di tutto il mondo, avere uno stipendio competitivo (incluso: piano pensionistico, mutua vacanze pagate e via dicendo); strumenti di lavoro in remoto.
Quello per giornalisti “full time” non è l’unico annuncio pubblicato. Ci sono anche altre posizioni aperte in The Correspondent, che ti danno l’idea della loro visione di questo mestiere e di quante figure differenti debbano lavorare, oggi, a un progetto giornalistico.
Ciascuna di queste posizioni viene proposta e raccontata con la medesima modalità.
Da farci un pensierino.
Per imparare e magari anche per collaborare con loro.
Le posizioni aperte sono:
- editorial designer
- full time correspondents
- free lance correspondents
- conversation editor
- engagement editor
- membership Support employees (back-up pool, flexible hours)
(AC)