Perché una persona normale dovrebbe, di sua iniziativa, perdere tempo per parlare bene di un prodotto o di un servizio, regalando visibilità e reputazione a un’azienda che, nella migliore delle ipotesi, lo vede come un numero o un portafoglio, nella peggiore come qualcuno da manipolare e fregare?
Questa domanda, incredibilmente frequente, porta con sé una precisa visione del mondo: la convinzione che noi «consumatori« siamo delle vittime di soggetti crudeli che ci costringono a comprare beni e servizi superflui e dal valore incredibilmente inferiore al loro costo e la certezza che sempre noi consumatori (cioè tutti quanti) siamo degli agnellini sacrificali, degli scioccarelli senza nerbo pronti a seguire qualunque pastore e a fare i suoi comodi senza difese.
Da un lato aziende senza scrupoli (in cui lavorano umani di serie B), dall’altro minus habens, vittime predestinate dei «persuasori occulti». Una visione del mondo precisa e incredibilmente offensiva, sia nei confronti dei lavoratori sia nei confronti dei consumatori. Quello che dovremmo chiederci però, se vogliamo rispondere alla domanda iniziale, è se sia una visione veritiera, e fino a che punto. L’esperienza di ciascuno di noi è, credo, diversa: ognuno di noi lavora in o per una società che fa (anche) marketing, ognuno di noi è cliente di tantissime diverse società e di una buona parte di queste ama follemente i prodotti o i servizi. Ci sono prodotti di cui non possiamo e non vogliamo fare a meno, giusto? Quelli manipolati sono sempre e solo gli altri 🙂
Il GlobalWebIndex prova ad analizzare i comportamenti per rispondere alla nostra domanda e le risposte delle persone che hanno postato una recensione online nell’ultimo mese si rivelano immediatamente molto diverse dalla visione del mondo sintetizzata prima. Le dieci principali ragioni per fare «brand advocacy», cioè per prendersi il disturbo di suggerire ad altri un prodotto o un servizio, negano l’idea di gregge o di manipolazione e ci presentano un quadro di comportamenti motivati da spinte molto diverse, ma tutte abbastanza intelligenti.
Il 53% delle persone recensiscono un prodotto quando è di «alta qualità», il 46% quando ci sono sconti o ricompense, il 38% quando «amano» il brand. Possiamo scegliere di leggere questo «amore» in tanti modi diversi, ma solo se possiamo affermare senza mentire di non amare nessun brand, ma proprio nessuno. Di poter vivere in un mondo di pure funzionalità, di non aver minimamente bisogno di creare un legame anche emotivo con chi ci sfama, ci veste, ci ospita, ci fornisce i mezzi di produzione, ci intrattiene. Il 26% delle persone raccomanda un brand quando si sente coinvolto, il 19% quando ha una relazione personale e diretta con l’azienda.
Umani, troppo umani?
Ognuno di questi dieci motivi permette di approfondire il complesso legame tra clienti e fornitori di prodotti e servizi (nelle forme più svariate, da Unilever a Wolf, da Scientology alla tua insegnante di yoga, da Cola-Cola al bar sotto casa): è impossibile capire in che direzione va il mondo dell’informazione e del marketing se non si fa i conti, senza pregiudizi e senza ideologie, con questa complessità e con questa spontaneità interessata, da entrambe le parti.