Black Hat SEO

Nel gruppo di conversazione su Facebook, qualche tempo fa, è stato chiesto di parlare della SEO black hat.

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John Wayne aveva sempre il suo bravo cappello bianco, nei film, quando aveva un cappello in testa. Diciamocelo: i personaggi interpretati da John Wayne erano di una piattezza unica (anche se secondo Sergio Leone era Clint Eastwood ad avere solo due espressioni: una con e una senza cappello).

Molto più affascinanti i cattivi con il cappello nero, giusto? Il lato oscuro della forza, il maledettismo, tutte quelle storie lì.

Eppure, anche se parecchie persone pensano che ci sia fascino anche nella cosiddetta SEO Black hat – l’intro western non è peregrino: è da lì che deriva il nome –, be’, l’idea di cercare di truffare un algoritmo – perché è di questo che stiamo parlando. Truffare – non mi ha mai particolarmente colpito. Anzi.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. C’è un solo modo per definire la SEO Black Hat. Si tratta di tecniche di posizionamento che tentano di aggirare le buone pratiche suggerite dai motori di ricerca e di far sì che vengano premiati in termini di posizionamento pagine che non contengono un reale valore aggiunto per il lettore. Questa è la definizione che scrivo di getto.

Su Webopedia non vanno tanto lontani: «uso di strategie, tecniche e tattiche SEO aggressive, che si focalizzano sul motore di ricerca e non sul pubblico di esseri umani, e generalmente non rispettano le linee guida dei motori di ricerca».

Vista la definizione, si potrebbe già derubricare a non mi interessa. Perché? Semplice:

  • non è rivolto al lettore
  • non genera valore aggiunto
  • è una strategia miope e di breve periodo: se pensi di poter aggirare le regole imposte da Google per scalare le SERP di Google, prima o poi Google se ne accorgerà e stringerà i tuoi rubinetti; se non generi valore aggiunto, resterai dipendente da Google (o da qualsiasi altro volano di traffico, ragion per cui tocca tenere bene a mente l’economia delle soluzioni parziali)
  • è una scorciatoia (che poi è il motivo per cui alla fine teniamo per i Jedi e non per il lato oscuro, perché la strada dei Jedi e lunga e faticosa)
  • è come il doping
  • non ha alcuna garanzia di successo (mentre scrivere per il lettore, è provato dalla storia mondiale del mondo dei contenuti, lo è)

Quali sono le tecniche «black hat»?

Per esempio, riempire di keyword il proprio sito, utilizzare keyword non collegate al contenuto della pagina, cambiare il contenuto integralmente una volta che è stato indicizzato e ben posizionato dal motore di ricerca, mettere testo invisibile alle persone, fare compravendita di link (ragion per cui esiste la tag nofollow), linkare i concorrenti da domini spazzatura, cercare di accrescere la propria autorevolezza procurandosi backlink facendo spam o in altri modi che non hanno nulla a che vedere con la naturale ricezione di backlink da parte di un sito (per esempio, attraverso link nascosti).

Online si trova da 6 anni un elenco di 30 punti che dovrebbe essere molto noto a tutti coloro che bazzicano l’universo SEO. È un elenco che mostra come 30 tecniche abusate da chi fa SEO black hat abbiano anche un risvolto etico e possano essere utilizzate correttamente, alcune forse un po’ provocatorie, altre molto sensate.

Qui mi interessa, al netto di eventuali domande che, come di consueto, puoi scrivermi, concentrarmi su un punto in particolare. Cioè: se penso di essere vittima di una tecnica black hat aggressiva da parte di qualcuno che pur di penalizzarmi mi linka da siti di scarsa autorevolezza, che posso fare? Oppure, se ricevo, più semplicemente, link, da siti sospetti, che posso fare? E a monte, come me ne accorgo?

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La guida di Google

Come spesso accade, è la guida di Google a venirci in soccorso (parliamo di motori di ricerca, ricordi?). Ma più semplicemente, se non hai voglia di leggertela tutta, ecco qui i passi da fare:

  1. Installi Search Console per il tuo dominio (rif)
  2. Entri nella Search Console, clicchi su Traffico di ricerca, poi su Link che rimandano al tuo sito
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  3. verifichi quanti backlink hai ricevuto, da quali siti. Magari fai un giro su alcuni di questi siti o semplicemente ti fai visualizzare l’anteprima dalla stessa Search Console passandoci sopra con il mouse.
    Questi, per esempio, sono alcuni dei backlink che ha il mio sito-test sul Giubileo.
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È evidente che ci sono siti che non c’entra niente con il mio, che mi linkano per motivi a me oscuri.

Perché non intervengo? Semplice. Qualsiasi intervento va valutato sulla base di dati reali. Per esempio: sto perdendo posizionamento o lo sto mantenendo? La risposta è evidente cercando in SERP giubileo.

Disavow significa rinnega

Ma se mi accorgessi di qualcosa di strano? Se ci fosse davvero qualcosa di strano? Se verificassi perdite di posizionamento? Se fossi solo paranoico e volessi star tranquillo? Be’, allora: primo, ti consiglierei un bel respiro. Secondo: ti consiglierei di valutare bene tutti i backlink che ricevi, magari Google li interpreta come «naturali». Terzo: se pensi davvero di voler rinunciare a qualche backlink che proprio non ti piace, hai a disposizione uno strumento che si chiama disavow. Prima di usarlo chiedi consiglio a qualcuno che si occupa di queste cose per lavoro, o almeno leggi attentamente tutta la guida di Google sul tema «rifiuto di backlink».

In parole povere, il disavow ti consente di rinnegare un link che ricevi in entrata.
Basta cliccare qui per arrivare sull’apposito strumento, dove lo stesso Google ribadisce di farci attenzione una prima volta, spiegandoti fra l’altro che potrebbe non bastare, se hai fatto pasticci con i link in entrata.

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Poi, siccome anche a Google sanno che la gente non legge e vogliono proprio essere sicuri che tu abbia capito che non è uno strumento da usare con leggerezza o per una paranoia, te lo dicono così.

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«Questa è una funzione avanzata e deve essere utilizzata con cautela. Se utilizzata in modo scorretto, questa funzione potrebbe incidere sul rendimento del tuo sito nei risultati di ricerca di Google. Ti consigliamo di rinnegare i backlink solo se ritieni che sia presente un numero considerevole di link contenenti spam, artificiali o di bassa qualità che rimandano al tuo sito e se sei sicuro che i link ti stiano creando problemi

Cioè, lo ribadisco, devi essere sicuro (o almeno molto vicino alla sicurezza matematica) che tu stia ricevendo link che ti stanno creando problemi di posizionamento nelle SERP.

Ma Google non è soddisfatto. E te lo ridice anche lui, se clicchi ancora una volta su Rinnega link.

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Se sei proprio sicuro ancora una volta di volerlo fare, siccome da Google non vogliono che sia facile farlo, devi crearti un file di testo (*.txt) che contenga l’elenco dei link che intendi rifiutare, uploadarlo e cliccare su Fine.

(12 luglio 2016)