La Corporate Social Responsability, per gli amici CSR, è sempre stata un po’ la sorellastra dell’impegno sociale, quella guardata con sospetto qualunque cosa facesse, con il sospetto o l’accusa esplicita di servire solo a ripulirsi l’immagine insudiciata dai comportamenti reali. Che fosse green washing, pink washing o washing multicolore, la stessa idea che un’azienda potesse volontariamente e seriamente impegnarsi per migliorare il mondo in cui viviamo è sempre stata considerata alla stregua di una favoletta per anime belle, un modo per impegnare raccomandati dove non è possibile fare danni e dove spendere soldi buoni solo per le detrazioni fiscali.
Seguo il tema dal 1991, anno in cui ho discusso la mia tesi in Relazioni Pubbliche sul marketing ambientale: già in quegli anni molte aziende (ricordo, a memoria, Henkel e Saab) usavano il rispetto dell’ambiente come leva di vendita. Ai tempi Paolo Gentiloni era il direttore di La nuova ecologia, una rivista che amavo molto per il taglio leggermente meno invasato su temi affrontati dalle associazioni ambientaliste con toni più colpevolizzanti che ispiratori, toni che sono costate loro moltissimo seguito.
Erano i tempi del buco dell’ozono, una delle poche catastrofi ambientali su cui siamo riusciti a intervenire con risultati concreti. Sembra incredibile, ma si parla di sviluppo sostenibile da allora e uno dei libri su cui mi sono formata, Progetto per un’economia verde, potrebbe esserci utile ancora oggi.
La passione per l’argomento mi è rimasta addosso e continuo a seguire il tema, sfiduciata dallo scetticismo con cui qualunque tentativo di CSR viene accolto (quasi sempre giustamente, sia chiaro), ma comunque attenta a qualunque segnale diverso dalla solita sbobba di proclami e buone intenzioni. Mi ha colpito molto, per esempio, ascoltare al Singularity Summit l’intervento di Paolo Di Cesare, co-fondatore di Nativa, che ha presentato una forma ibrida di azienda, la Benefit Corporation. Qui il suo intervento al Tedx Bologna:
Le Benefit Corporation, o B-Corp, sono aziende profit che scelgono di certificare il loro impegno in contesti slegati dal business: la felicità dei dipendenti, l’impatto ambientale, la trasparenza, l’impegno per i problemi sociali del territorio. In questo momento sono circa 2000 aziende, una ventina in Italia (tra cui, per esempio, Fratelli Carli).
La certificazione rilasciata da BCorp non ha ancora valore legale in Italia, ma traccia sicuramente una strada che potrebbe essere seguita anche da noi: l’idea cioè che la «responsabilità sociale» non si possa più limitare a una dichiarazione d’intenti, ma debba essere verificata e misurata con un bilancio che sia parte integrante di quello economico (e non quindi un semplice bilancio sociale o ambientale).
Non è abbastanza per dare corpo alla CSR, a meno di non collegarla alla presa di posizione abbastanza sorprendente di BlackRock, la più grande società di risparmio gestito al mondo, con un potere di vita e di morte (Pretolani mi picchierà per questa drammatizzazione della finanza) su moltissime aziende.
Nelle sue «priorità di impegno 2017/2018», la cui verifica e rendicontazione è promessa per settembre 2018 con il «BlackRock’s Investment Stewardship 2018 Annual Report», l’azienda che decide in quali aziende investire il patrimonio dei suoi clienti ha dichiarato che l’impatto aziendale e sociale di lunghissimo periodo è un elemento determinante per la salute e il successo di un’azienda e quindi diventa un fattore chiave per le loro scelte di investimento.
Non è l’unico, perché è affiancato dalla capacità di governance, dalla visione di lungo periodo e dalla gestione delle risorse umane, ma colpisce vedere in questo elenco la «Disclosure of climate risks», soprattutto in un contesto politico in cui Trump cerca in tutti i modi di negare l’importanza dell’impegno sul clima. Non una semplice dichiarazione d’intenti:
“Over the course of the coming year, we will engage companies most exposed to climate risk to understand their views on the TCFD (Task Force on Climate-related Financial Disclosures ) recommendations and to encourage them to consider using this reporting framework as it is finalized and subsequently evolves over time.”
È uno scossone paragonabile al nuovo Regolamento per la Privacy (di cui parleremo presto), solo che non è la mossa di un governo o di un organismo super partes, il che la rende, paradossalmente, molto più concreta. In sintesi BlackRock sta dicendo che il tuo impatto sul clima è un fattore di rischio per il tuo business model, e se non ci pensi tu, ti ci fanno pensare loro.
Forse non cambierà niente, forse andiamo solo verso una CSR ancora più costosa e meno efficace, ma forse le BCorp hanno un futuro: al pianeta non serve un impegno sincero, serve un impegno concreto.
Noi aziende più piccoline di quelle presenti nei fondi di BlackRock, più simili a quelle presenti negli elenchi delle BCorp, possiamo e dobbiamo riconsiderare la possibilità che un vero impegno sociale, nei confronti dei dipendenti, del territorio, dell’ambiente e dei clienti, possa diventare una leva concreta di business, o meglio, un pezzo che se mancante che potrebbe costarci fette anche importanti del mercato, soprattutto tra i più giovani.