Ci sono tante parole che risuonano nell’infosfera e, come sai, molte di queste parole sono inglesi.
Negli ultimi anni, queste parole tendono a ricordarci che bisogna rapportarsi alle persone, ai pubblici. E così, siamo passati attraverso cose tipo user-centricity, user-friendly, h2h (Human-to-Human), people first e varie altre diciture che indicano o almeno provano a rappresentare un concetto cruciale.
Il fatto che la tecnologia digitale è una gigantesca piattaforma relazionale suddivista in tantissime sotto-piattaforme relazionali. Un ecosistema da abitare.
Chi abita il digitale?
È un ecosistema abitato da macchine, certo i bot:
- quelli che scansionano i tuoi siti per indicizzarli sui motori di ricerca
- i bot conversazionali o chatbot
- i bot che eseguono semplici compiti automatici per migliorare determinati servizi (uno dei miei preferiti è il bot dell’Unroll su Twitter)
- e poi tutti i bot che sono stati pensati per comportamenti fraudolenti (salire nel ranking di un grosso e-commerce, pompare le metriche quantitative sui social con finte interazioni e finte ricondivisioni…)
Ma queste macchine sono state e sono programmate da persone.
Che, ecco la notizia nascosta da tutte quelle parole in inglese che parlano di persone, sono quelle per cui un ecosistema digitale ha davvero senso. Sono quelle che lo abitano davvero, che possono migliorarlo o peggiorarlo o distruggerlo, renderlo invivibile o piacevole.
Internet è ciò che tu ne fai: continua a essere una delle mie definizioni preferite di questa straordinaria tecnologia che ci unisce.
Le metriche, l’audience listening e le personalizzazioni
Una delle cose che puoi fare negli ecosistemi digitali è misurare. Misurare tutto. Al punto che da queste parti abbiamo persino progettato – insieme ad alcune colleghe e colleghi durante un News Impact – uno strumento immaginario che si chiama Impact Tracker e che dovrebbe essere pensato per misurare tutto il misurabile. Anche le metriche, però, hanno i loro problemi.
Nel primo numero della sua Ellissi First, Valerio Bassan ha scritto un pezzo molto interessante che si intitola Mai dare le metriche per scontate. Lo spunto per le considerazioni di Valerio deriva dal fatto che la Apple ha annunciato a giugno 2021 che il suo client di posta avrebbe iniziato a dare alle persone la possibilità di bloccare il tracciamento delle mail. Open rate (cioè: tasso di apertura delle mail): addio?
Non è detto e di sicuro non sarà la morte delle newsletter e dell’uso delle mail per scopi di marketing e/o di vendita. Ma, come scrive Valerio,
«ci si adatterà, come dopo ogni scossone. Il click-through rate (CTR), che non dovrebbe essere impattato dai filtri salva-privacy di Apple, diventerà ancora più importante per capire il livello di engagement degli iscritti.In particolare, il delta tra OR e CTR potrebbe essere la nuova north star per misurare l’efficacia di una campagna email. Aspettiamoci un po’ di confusione, questo sicuro».
Valerio Bassan, Ellissi First
In tutta questa ossessione per le metriche e la misurazione, si è fatta strada una disciplina che ha sicuramente la sua importanza per considerazioni massive: l’audience listening.
Da Hootsuite a Klout, è tutto un fiorire di tool che, insieme a molte altre funzioni, per esempio di pubblicazione sui social, fanno anche ascolto e misurazione.
Di cosa? Delle tendenze, delle parole usate, del cosiddetto sentiment – con tutti i limiti di questo tipo di misurazione che, ti ricordo, misura solo il sentiment di chi si esprime. Non quello di chi non dice nulla –, di tutte quelle briciole, quelle tracce che le persone lasciano nell’ecosistema pubblicamente. Si possono aggregare, si possono individuare medie, mediane, mode. Si possono fare test. Trovare nicchie. Chiaramente, questo tipo di misurazione – molto affascinante e probabilmente anche utile se hai progetti di comunicazione e di informazione generalisti, o anche verticali ma massivi – ha una serie problemi.
1) è una misurazione che si perde molti pezzi e tende a dare visioni molto schematiche dell’audience mentre ti illude di conoscerla alla perfezione (il che ci riporta, in qualche modo, al funnel da aggiustare)
2) i dati da elaborare rischiano di essere semplicemente troppi, soverchianti. E comunque, poi, vanno interpretati e lavorati in maniera corretta
3) se vuoi fare progetti che partano davvero dalle persone al centro, avrai bisogno di una strategia personalizzata. Questi strumenti, invece, se non accompagnati da un pensiero strategico e da un’esecuzione unica, rischiano di portarci ancora una volta verso l’appiattimento
Un po’ come i titoli tutti uguali dei blog aziendali una volta individuato un trend.
Allora, qui ti propongo un approccio radicalmente diverso – e per forza di cose molto artigianale – all’audience listening.
Primo: conversazioni e domande, la base dell’audience listening artigianale
Un modo molto utile e interessante per immergersi all’interno di un argomento, di un tipo di pubblico, di un gruppo di persone è vivere esperienze insieme a quelle persone. Per esempio: mi sono messo a seguire le conversazioni sul Cashback e ho a mia volta sperimentato la “gara” per il Super-Cashback per scrivere un pezzo sul tema (prevengo l’obiezione: non è che si debba per forza fare esperienza personale per scrivere di qualcosa. Sarebbe l’assoluta negazione della possibilità di empatizzare. Però, ecco, aiuta. Soprattutto in un ecosistema, quello culturale, in cui il punto di vista dominante è ancora oggi, nel 2021, monolitico).
Certo, il grado zero di questa modalità è entrare in uno dei gruppi di cui sopra per scrivere un pezzo-sfottò: un grande classico, soprattutto nel mondo del giornalismo.
Ma no, non è questo l’approccio di cui sto parlando. Sto parlando di osservare le conversazioni con i propri occhi, intervenire nelle conversazioni, farlo senza pregiudizi, prendersi il tempo che ci vuole senza intenti predatori, senza sentire in noi quell’invincibile superiorità che ci fa giudicare l’altro dal pulpito dei giusti.
Se applichi una strategia d’ascolto/interazione potrai
- capire quali sono le parole, lo slang che queste persone usano
- capire le loro esperienze o addirittura fartele spiegare
- capire che tipi di persone partecipano a determinate conversazioni
- capire quali possono essere i loro reali interessi, gli altri interessi
- capirne i bisogni e i sogni, le paure e i desideri (ricorda: le Personas)
- capire eventuali tematiche di interesse per i tuoi pubblici o i tuoi pubblici potenziali
È vero: se ti affidi al business manager di Facebook (o strumenti analoghi) potresti avere una targettizzazione molto accurata, e strumenti che possiedono tonnellate di dati come Facebook, appunto, possono permetterti di usare le loro informazioni per raggiungere pubblici anche molto ben targettizzati con campagne pubblicitarie. Ma i dati restano loro, e tu non farai alcun tipo di esperienza
Secondo: fare domande e fare conversation management
Abbiamo una possibilità straordinaria, soprattutto se abbiamo un po’ di presenza “social”. Possiamo fare delle domande. Le possiamo fare in ambienti sociali esterni al nostro oppure anche internamente al nostro.
Ti faccio un esempio pratico.
Sapendo che il tema è controverso e conoscendo un minimo la mia “bolla” personale, ho pubblicato questo post sul mio profilo Facebook (al posto di Facebook avrei potuto usare, ad esempio, le domande di Instagram nelle Stories. E in effetti l’ho fatto, ma su Instagram la mia presenza social è molto meno strutturata e “forte”.
È stato molto interessante perché – come immaginavo – anche persone con cui ho identità di vedute su parecchi argomenti hanno lasciato obiezioni. Quelle che hanno sentito, quelle che pensano davvero di primo acchitto.
La conversazione che si è svolta sotto al post, come puoi vedere con i tuoi occhi, è ordinata, gradevole, complessa, porta fuori da lì, ci sono link, consigli di lettura, di libri, di articoli, di saggi. Ci sono giusto un paio di battute poco divertenti, ma globalmente il livello della conversazione è “alto”.
Naturalmente, ho monitorato la conversazione e ho fatto in modo che rimanesse tale.
Quindi, in buona sostanza:
- hai un argomento / sai che c’è un argomento che interessa o può interessare al tuo pubblico o al tuo pubblico potenziale, perché hai abitato i social
- usi quell’argomento con una formula efficace: la domanda
- gestisci la conversazione che segue, assicurandoti che si mantenga su binari di correttezza: agisci, in qualche modo, come community manager della singola conversazione, come conversation manager
Otterrai così molte informazioni ulteriori, rispetto a quelle che avevi già acquisito. In questo caso, per esempio, dopo aver frequentato a lungo gruppi che si occupano del reddito di base (come questo) ho voluto uscire dalla bolla e ingaggiare persone che sono potenzialmente contrarie all’idea. Avrei potuto farlo anche in contesti dove avrei potuto – con buona approssimazione – ottenere risposte più aggressive o più schierate, ma non era questo il mio obiettivo. Si può fare, comunque.
Terzo: raccogliere, ordinare e pensare a come coinvolgere
A questo punto, se abbiamo fatto le cose per bene, avremo un bel po’ di informazioni, di dati, di considerazioni da mettere insieme. Una strada potrebbe essere scrivere un pezzo (con i suoi obiettivi: informativo? di comunicazione? di marketing? giornalistici? di vendita?) e poi erogarlo in vari modi nei gruppi che abbiamo già frequentato. Ma qui ti propongo una fatica ulteriore che ci trasporta dal mondo dell’audience listening, per quanto artigianale, al mondo dell’audience engagement.
Lo strumento che ti suggerisco di utilizzare è uno strumento che ha radicalmente cambiato (o almeno, può radicalmente cambiare) il modo di scrivere: il documento condiviso.
Scegli tu la piattaforma, non ha importanza quale usi. Io ho fatto così. Ho usato un Google Doc.
All’inizio c’è una breve presentazione. La consiglio sempre, perché non sai mai chi arriverà sul documento, e quindi è meglio dare la possibilità di orientarsi. È fatta così: poche righe descrittive, un paio di link, una call to action.
Sotto, in maniera ordinata, ho messo un indice con link di ancora. Aiuta la lettura.
Ancora più sotto, c’è il “come funziona questo documento e cosa puoi fare”. Fondamentale, non solo perché spiega meglio, ma anche perché ti aiuta a fare una cosa che aiuterà a mantenere il documento quanto più possibile pulito: stabilire le regole di partecipazione, che sono cruciali in qualsiasi percorso di audience engagement. Le regole che propongo sono sempre poche, semplici, scritte in maniera facile e comprensibile. Vorrei che, da subito, si capisse che l’ambiente in cui ci troviamo è un ambiente sicuro, tranquillo, piacevole da frequentare: non è un posto dove ci si scanna.
Poi viene il resto del documento. In questo caso, ho messo l’elenco delle obiezioni che ho ricevuto, una dietro l’altra, alcune “sintetizzate” (senza snaturarle), altre copia-incollate.
Lo strumento è un modo per dare trasparenza assoluta alla progettazione e realizzazione del contenuto. Inoltre, le persone che si imbatteranno nel documento – attenzione: è importantissimo condividerlo in modo che chiunque abbia accesso possa almeno lasciare commenti – devono poter interagire con il medesimo e migliorarlo.
Non avere paura della vandalizzazione: questi strumenti tengono traccia delle versioni editate. E i commenti si possono sempre rimuovere, risolvere, possono ricevere risposte.
Insomma
- progetta un documento condiviso
- decidi le regole di co-abitazione
- modera il documento come se fosse una conversazione
- produci il tuo lavoro su quel documento (puoi anche lavorare a parte e poi copia-incollare sopra)
Naturalmente, per fare tutto questo devi essere particolarmente a tuo agio con la trasparenza e sapere fino a che punto puoi spingerti nell’interazione.
Quarto: coinvolgere ancora
A questo punto viene la parte difficile (come se tutto questo fosse semplice). Devi trovare il modo di far girare questo documento perché avrà bisogno di vivere e di essere arricchito, migliorato, ricondiviso dove sia possibile e dove ci siano persone che possano e vogliano contribuire al suo miglioramento.
Dovrai ricondividere il link, riproporlo alle persone che avevano già risposto alla tua domanda, trovare modi interessanti per riproporlo, rilanciarlo e far partecipare le persone alla nuova conversazione. Se vuoi vedere un esempio a uno stadio più avanzato, eccolo qui: il “mio” (faccio quasi fatica a definirlo tale) pezzo collaborativo sulla cancel culture.
A quel punto potrai: continuare a gestire i commenti al pezzo, come ho fatto in alcuni casi.
Oppure puoi incorporare alcuni commenti nel testo che scrivi o utilizzare le strategie che più di aggradano.
Puoi reiterare questi quattro passaggi tutte le volte che vuoi. In questi quattro passaggi hai la crasi fra l’audience listening e l’engagement nei loro significati più puri.
Non c’è bisogno di fare, per forza, ogni volta, questa fatica: se introietti il metodo, potrai, con l’esperienza, decidere quali passi saltare.
Quinto: la delivery
Anche se è un percorso che, potenzialmente, non arriva mai a un prodotto finito – è un po’ questo il bello, no? Che costruiamo contenuti permanenti, che si evolvono, cambiano, non sono comandamenti scritti nella pietra – ad un certo punto vorrai mettere, almeno provvisoriamente, una parola fine.
E quando l’avrai fatti, dovrai occuparti della delivery: c’è un intero corso per te, sul tema.
Vedi? Siamo partiti da concetti astratti e li abbiamo trasformati in qualcosa di estremamente pratico e declinabile.