A volte il nome di un prodotto diventa nome comune di cosa, come è successo per esempio con il Walkman, la Biro, la Barbie, l’Autogrill o anche la Brugola o lo Scotch. Nel caso del collegamento tra computer è successo il contrario: una parola che significava qualcosa – rete – è diventato sinonimo di altro, quello che chiamiamo Internet (che non è un brand, perché non appartiene a nessuno).
In questo piccolo slittamento semantico non abbiamo perso tanto il riferimento ai tanti altri significati di rete (di salvataggio, da pesca, di protezione), ma abbiamo dimenticato che una rete, in quanto tale e soprattutto quando parliamo di rete sociale, social network, è un qualcosa con una storia, un significato e numerose connotazioni preesistenti alla rete di computer che è anche una rete di persone e di contenuti.
Un po’ di geometria
Una rete è, prima di tutto il resto, spiegabile e comprensibile geometricamente, magari usando l’espressione grafo, che ritroviamo ogni tanto come “grafo sociale”, cioè l’insieme delle nostre connessioni. Lo studio dei grafi è stato messo a punto da Eulero, ma non preoccuparti, non ho nessuna intenzione di approfondirlo, anche perché non ne sarei capace. Quello che ci serve sapere, per capire Internet, è che noi abbiamo un’immagine spontanea delle reti molto fuorviante, cioè vediamo una rete regolare, la prima a sinistra, o al limite casuale, come la seconda da sinistra.
È per questo che arriviamo a pensare 1 vale 1, non per parlare di politica, ma per ricordare un errore molto frequente, e cioè la lagna/paura che online tutti abbiano la stessa attenzione. Online tutti hanno diritto di parlare (diritto protetto costituzionalmente, tra l’altro), ma non tutti hanno lo stesso pubblico, la stessa attenzione, la stessa reputazione. Le reti non sono democratiche, i nodi non sono tutti uguali, ci sono persone seguitissime e persone ignorate anche dai parenti stretti. Questo non accade solo per motivi ovvi, ma anche per la struttura stessa della topologia di molte reti, che non sono né regolari né casuali.Ti faccio fare questa piccola affascinante fatica perché è facile passare da un errore all’altro, cioè ok le reti che frequentiamo non sono regolari, quindi sono casuali e comunque incomprensibili. E invece no, seguono una logica molto precisa, ben spiegata dal testo fondamentale in materia, Link di Barabasi, dove il fisico ungherese definisce la topologia scale-free, in italiano “a invarianza di scala”. In questo tipo di rete noi tendiamo a seguire i nodi più sviluppati (un fenomeno noto come preferential attachment, molto semplice da capire se si pensa agli hub aeroportuali), a meno che non emerga un nodo migliore (che non vuol dire di maggiore qualità o valore, ma di maggiore fitness, cioè più adatto al contesto), che emerge senza che qualcuno (un editore, per esempio) gli dia il permesso di farlo. Invarianza di scala vuol dire questo: 1 può valere 1000000000 e lo fa finché non arriva un 1 più adatto. Probabilmente da qualche parte qualcuno sta per dare della boomer a Chiara Ferragni, per capirci.
Un po’ di sociologia
Una volta compreso il fenomeno matematicamente dovrebbe essere più facile leggere le reti sociologicamente. Scomparsa l’illusione – o la paura – di democraticità, rimane da inserire un elemento, cioè le reti “small world”, con riferimento al famoso esperimento in cui il sociologo Milgram misurò la distanza tra persone sul pianeta, i sei gradi di separazione. Come tanti esperimenti simili è stato un pelino smentito dalle verifiche successive, ma a noi sono utili due informazioni: in una rete casuale i collegamenti tra nodi creano “piccoli mondi” e cluster, cioè nicchie. La differenza tra le reti sociali del mondo fisico e quelle del mondo degli atomi è che nel primo caso noi siamo bloccati dai limiti della realtà fisica – banalmente, la società del posto in cui viviamo -, nel secondo caso siamo molto più liberi di esplorare nuovi nodi e di creare nuove relazioni. Per ridurre la complessità, però, ci costruiamo comunque un mondo piccolo, di cui diamo volentieri la colpa alla tecnologia.
A cosa mi serve tutto questo?
Un’altra caratteristica delle reti è che winner takes it all, chi vince prende tutto (come evidente dal duopolio Google-Facebook), ma se all è una nicchia, molti winner sono possibili, perché ci sono tante all, tutte diverse (le community, che è un altro modo di dire nicchia, hanno interessi e gusti specifici).
Oggi a rete è la società, non solo Internet.
Come scrivo in Non di soli influencer si vive in rete
«indovinare la nicchia oggi è come indovinare la massa ieri, perché i valori assoluti sono distribuiti in modo più variabile. Se almeno nella fase di ideazione/progettazione non si ragiona per community non c’è neanche fitness e restiamo confinati nella produzione per le masse che oggi, qualunque sia il medium di destinazione, non funziona più: nessuno di noi oggi si sente medio, o mediocre che dir si voglia».
Questo vale per tutto, ma a maggior ragione per l’informazione e per l’intrattenimento: forse adesso è più chiaro cosa intendevo nell’articolo precedente scrivendo “quando noi guardiamo Facebook o Twitter o TikTok continuiamo a osservarli e giudicarli con la prospettiva dei mass media”, perdendo l’occasione di ragionare sulla proposta migliore non in assoluto e per il maggior numero di persone, ma contestualmente al momento in cui viviamo e per un numero di persone sufficiente a raggiungere i nostri obiettivi.
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