Quello che state per leggere è nato come un piccolo ma utile esperimento di applicazione della Comunicazione nonviolenta. Credo che molti di voi sappiano di cosa sto parlando. Mi riferisco al metodo ideato dal noto psicologo americano Marshall B. Rosenberg e pubblicato nel suo manuale Le parole sono finestre oppure muri.
In questo metodo, che ha l’obiettivo di rieducarci alla parola, permettendo di comunicare anche con chi la pensi in modo radicalmente diverso da noi, le parole vengono utilizzate non per ferire, né offendere, ma per creare empatia e dialogo.
Ne avevo parlato nel primo numero della newsletter che ho lanciato a luglio per dare consigli su tool digitali e approcci utili alla comunicazione e al giornalismo (a proposito, si chiama Digital Journalism by Barbara D’Amico, è gratuita, random e potete iscrivervi qui se volete).
In quell’edizione spiegavo che a volte l’analogico può essere un formidabile tool per i comunicatori digitali. Specie se si tratta di una tecnica che può aiutare:
– a gestire in modo sereno le community online;
– a creare dialogo laddove fiocchino commenti al vetriolo;
– a stabilire un dialogo costruttivo anche con la fonte più difficile da gestire
– a calmare i nervi dei comunicatori, quando pensano di esplodere a leggere o sentire certe cose.
Avevo anche avvertito di quanto la filosofia alla base del metodo di Rosenberg fosse semplice nella teoria ma non così semplice da applicare nella realtà. E avevo concluso che sarebbe stato utile sperimentarla nel corso dell’estate, non solo nei dialoghi quotidiani ma anche sui social.
AVVERTENZA: quello che sto per dire adesso deve essere inteso solo come un esperimento amatoriale. La CNV è un metodo certificato ed esiste anche una scuola che la insegna in Italia e si trova a Reggio Emilia quindi se volete metterla in pratica, partire almeno dal libro di Rosenberg e non certo dal mio esperimento.
La CNV in breve
La comunicazione nonviolenta (CNV) è un processo in 4 fasi da applicare nelle mediazioni ma anche nei dialoghi quotidiani, soprattutto quando vogliamo interagire con il nostro polo opposto in modo costruttivo. Per chi fa informazione è quindi utilissima da imparare, non solo per comunicare meglio ma per trasformare botta e risposta sterili e pericolosi in un antidoto alla disinformazione (e all’ulcera).
Ecco le 4 fasi:
- Osservazioni – “Che cosa osserviamo altre persone dire o fare, che sta arricchendo o non arricchendo la nostra vita? Il trucco sta nell’essere in grado di articolare questa osservazione senza introdurvi alcun giudizio né alcuna valutazione” scrive Rosenberg nel libro che cito nel primo numero di questa newsletter (se fate giornalismo vi ricorda qualcosa, eh?);
- Sentimenti – Dopo aver osservato, dobbiamo affermare a noi stessi come ci sentiamo rispetto a quelle parole o a quelle azioni: tristi? frustrati? spaventati, gioiosi, divertiti, entusiasti, irritati ecc..?
- Bisogni – Solo a questo punto dobbiamo esprimere i nostri bisogni collegati a quei sentimenti (es. il desiderio che una persona che commenta online i nostri post lo faccia con toni meno duri perché questo ci crea disagio).
- Richieste – Ora è possibile formulare una richiesta specifica alla controparte o al pubblico proprio per realizzare quel bisogno di cui sopra.
Premessa
La conversazione che in parte riporterò adesso è avvenuta su Facebook a commento di un post sul tema del nostro tempo, cioè cosa intendiamo oggi per libertà, visto che dobbiamo fare i conti con le restrizioni di una pandemia globale. Vi metto il link al post pubblico.
Inoltre sappiate che il mio è un tentativo, quindi prendetelo come tale.
Infine, l’argomento del contendere, nello specifico, è tra i più spinosi e divisivi: l’obbligo del green pass. C’è chi è contro, chi a favore, chi viaggia nel mezzo. A noi interessa chi sta nel mezzo e capirete il perché tra un attimo.
Gli ingredienti dell’esperimento
- Il riassunto del senso del post (non il riassunto del post, occhio, che è giustamente lungo e complesso e che potete leggere al link sopra): parlare di libertà di non vaccinarsi e di non esibire un green pass in un ristorante è una forzatura, perché le libertà fondamentali sono altra cosa.
- Un commento “opposto” alla visione principale – Il commento della persona con cui ho scelto di interagire non è affatto radicale (questo per facilitare il mio test) ma è comunque contrario in modo pervicace alla posizione principale (e cioè che sia giusto prevedere l’obbligo di green pass).
- Le interazioni di altri commentatori – A questo post chiaramente hanno risposto in tanti, più o meno concordi con il fatto che l’obbligo sia giusto, e di alcuni ho estratto delle risposte. Ma a me ha colpito il commento di una persona appunto contraria alla maggioranza della “bolla”.
Per semplicità, chiameremo questa persona C., i replicanti contrari a C saranno invece gli R, mentre io che rispondo sarò B.
Il botta e risposta
C., commentando il post dice:
“Ho ormai preso atto che i ristoranti sono gli attuali luoghi di culto, dove si esprime e si cementifica la nostra identità sociale. Vedo che non suscita altrettanta attenzione il fatto che dal 6 agosto alcuni non potranno più andare a trovare un parente in ospedale, o fruire di una biblioteca, un museo… Vediamo quanti plausi giungeranno ai licenziamenti dei non vaccinati… Libertà vo cercando.”
(Si riferisce appunto al fatto che inserendo l’obbligo del green pass, chi non ce l’ha, vuoi perché non vuole vaccinarsi vuoi perché non vuole fare o non può permettersi un tampone, non potrà accedere a determinati luoghi o attività ben più essenziali di un ristorante, incluso forse il luogo di lavoro).
Seguono più di 20 risposte a questo commento, per fortuna senza toni offensivi ma comunque molto accesi, in cui in sostanza si dice a C. che non ha senso quello che scrive perché – riassumo sempre il senso della maggior parte dei botta e risposta – un conto è non vaccinarsi stando a casa propria, un altro è lamentarsi di non poter visitare un parente anziano in un ambiente fragile pur avendo a disposizione uno strumento, cioè il vaccino, che permette di farlo in sicurezza. L’alternativa sarebbe infatti mettere a repentaglio la salute del parente fragile e delle persone in ospedale.
C. replica con link ad articoli e approfondimenti che confortano la sua posizione: il green pass obbligatorio è incostituzionale e limitativo della libertà individuale. Gli altri replicano a loro volta che quelle fonti sono inconsistenti.
R. a un certo punto dice a C.:
“[…]Chi non vuole accettare delle regole che con buona probabilità potrebbero giovare a tutti va educato, limitato e vanno protetti gli altri dalla sua irresponsabilità […]”.
C. risponde:
“Come propone di “educare“ chi si interroga sulla giustezza e la costituzionalità di alcune regole? Un bel soggiorno in campi stile Kaechon?”
A questo punto è chiaro che non si vada da nessuna parte. Nella maggior parte dei casi – se qualcuno si riconosce nello scambio, perdoni la semplificazione – chi parla con C. usa un approccio, assolutamente comprensibile e umano, ma raramente efficace: cerca di convincere del contrario questa persona con ragionamenti, logica, dati. Il risultato è che C. nelle interazioni si pone in modo difensivo. E invece a noi serve distensione per poter dialogare n modo fruttuoso e non frustrante. Già, ma come si crea questa distensione?
Il paradosso dell’oggettività
Esco un attimo dal caso in questione e parlo in generale dell’interazione con e della moderazione di gruppi estremamente polarizzati (qui il caso del post e i commenti di C. non c’entrano nulla), cioè gruppi in cui le interazioni sono ferocissime e non all’acqua di rose come nel nostro esperimento. Epperò anche in questo caso la comunicazione nonviolenta ha molto da insegnare.
Di questi gruppi trovate analisi e inchieste molto approfondite davvero ovunque online e in libreria. Soprattutto si discute molto su come fare per sfiammare questi gruppi in cui la comunicazione è invece violenta, senza però preoccuparsi di studiare metodi di approcci alternativi al muro-contro-muro.
Bene, ormai dovremmo aver capito che le posizioni più estreme sono anche le più difficili da smontare ed è quasi impossibile interagirvi.
Eppure anche nel gruppo più polarizzato esiste una zona grigia, un’area fatta di persone, anche pochissime, che pur facendo parte di quella bolla non sono totalmente estremizzate.
Oggi il caso più eclatante è quello dei No-Vax estremi ma potremo citare anche i Terrapiattisti e compagnia varia. Vi consiglio di leggere questo illuminante articolo di Facta che appunto spiega come in realtà la maggior parte delle persone che ingrossano le fila no vax oggi in Italia siano in realtà persone poco estremizzate o estremizzabili, anche se sempre più numerose. Perché? E come facciamo a individuare queste persone che sono anche quelle più propense poi a dialogare?
In generale, durante un confronto serrato per scovare questo target intermedio, non c’è cosa più controproducente dell’oggettività, della realtà sbattuta in faccia, dei dati. L’oggettività infatti allontana le persone che la pensano diversamente.
Sembra paradossale, ma è un meccanismo che ha a che fare con dinamiche di “appartenenza al gruppo” e “distinzione dal pensiero mainstream che mi blasta”. E’ qualcosa di primordiale: appartenere a un gruppo, anche se estremizzato nelle sue posizioni, è comunque meglio che essere da soli, proprio come si è soli di fronte a una emergenza grave come una pandemia.
Ripeto, non c’entra niente con il nostro esempio su FB e con C.- quindi, per favore, non pensiate affatto che C. sia un no-vax, anzi – ma parlarne è utile per capire quale sia il grimaldello efficace per instaurare un dialogo non tanto con un estremista quanto con chi si rivolge all’estremista di turno per mancanza di ascolto e accoglienza altrove.
Applicare la Comunicazione Nonviolenta
Torniamo al nostro esperimento. L’approccio della CNV non parte dai dati e dalla ragione, ma dalla parola data ai sentimenti e all’empatia degli interlocutori. Mette, se ricordate i passaggi, la parte logica/fattuale solo alla fine nella famosa fase delle richieste da rivolgere al proprio interlocutore.
Quindi, armata di buone intenzioni provo a inserirmi nell’infuocata conversazione anche io e rispondo a C.
B. menzionando C. in un commento:
“Scusa C, mi inserisco nello scambio di opinioni perché è vero che il tema è difficile ma è anche difficile trovare scambi pacati come questi (intendo dire che purtroppo in giro il dialogo sereno è merce rara). Se ho ben capito, al di là dei pareri giuridici, tu hai timore che l’imposizione del green pass accentui le discriminazioni tra chi è vaccinato e chi non lo è, è corretto?”
(Osservazione: osservo il senso della parole di C e provo a replicarle chiedendo a C. se è davvero quello che intende).
C. mi risponde:
“Sì. Ma più che un timore, da quanto sta avvenendo in questi primi giorni, mi sembra un dato di fatto. Inoltre non mi sembra prudente far ammassare i vaccinati in luoghi chiusi. Non solo ristoranti, ma mezzi di trasporto ecc. Infine, alla luce degli ulteriori tagli inferti dal Def 2021 alla sanità pubblica, mi sembra anche una beffa. Un modo di scaricare il barile sulle scelte individuali. Poi c’è il problema dei potenziali licenziamenti di chi non ha il pass. Ma per amor di sintesi, mi fermo qui”.
(Sentimenti: il tono è già cambiato, C. adesso cita, anche se tra le righe, quelle che sono le paure e timori potenzialmente suoi ma anche di molti altri – mancanza di prudenza, la sensazioni di sentirsi beffati ecc.. – e senza saperlo sta in realtà esplicitando appunto la fase 2 della comunicazione nonviolenta. E’ il mio turno di dire come mi fa sentire quello che leggo nei commenti di C. e che decido di esplicitare per creare un piano comune).
B in risposta a C:
“ Al di là delle tesi e antitesi, dei dati e della logica, personalmente comprendo queste preoccupazioni, le trovo del tutto umane (nessuno ha piacere nel veder compresse le proprie libertà così come nessuno vuole ammalarsi, penso). E da convinta pro scienza e vaccini, devo dire che anche durante l’anno scorso ho sempre mal digerito la mancanza di ascolto verso le paure o i dubbi di chi la pensa diversamente.
Proprio per questo ora mi sento come se le parti si fossero invertite in questa nuova fase di coabitazione con il virus, maledettamente complicata da gestire, a qualunque livello.
Mi sento cioè come se i miei timori – timore che parenti o amici che per ragioni mediche non possono vaccinarsi si ammalino, timore di rientrare in lockdown ecc – in questa fase della pandemia fossero considerati di serie b, non fossero ascoltati[…]”.
(Se ci fate caso sto provando a trovare un terreno comune: chi la pensa diversamente da me deve avere almeno un appiglio, un porto di sicuro in cui approdare per esprimersi, poi da lì è possibile formulare bisogni e richieste). A questo punto C. espone una visione che fino ad ora aveva tenuto sotto traccia.
C in risposta a me.:
“tutti abbiamo paura. Per noi stessi, per i nostri cari, per il futuro prossimo. Pochi hanno l’onestà di ammetterlo. Però, come intitolo’ un suo film Fassbinder, la paura mangia l’anima. Non può essere alla base delle nostre decisioni. Per quanto concerne i decisori politici, in questa fase della pandemia più che impreparazione a mio avviso c’è ipocrisia. Quella di non voler imporre l’obbligo vaccinale, perché (come si fece sfuggire Bonaccini in diretta TV) sarebbero sommersi dai ricorsi.”
(Sentimenti/Bisogni: siamo a un passo dal terzo passaggio, quello dei bisogni. Ed è cambiato ancora qualcosa. Perché C. riconosce che il tema della paura è centrale e fa un passo in una nuova direzione: menziona l’obbligatorietà del vaccino).
C. spiega poi nei commenti alle mie repliche che preferirebbe più investimenti in trasporti, medicina territoriale, servizi e soluzioni per garantire sicurezza quotidiana dal virus e questo è un bisogno comune su cui, tra l’altro, sono assolutamente d’accordo. In buona sostanza, quello che mi arriva è che se l’obbligo fosse imposto dalle autorità e non lasciato alla responsabilità individuale forse per C. sarebbe preferibile. E’ un ottimo terreno di confronto.
A questo punto rincollo la parte di commento a replica di C. in cui in realtà già avevo formulato anche il mio di bisogno, cioè quello di provare a rispettare le regole, incluse quelle sul green pass, ammettendone la temporaneità.
B. in replica a C:
“Mi chiedo anche come uscire da questo loop. Se ad esempio il green pass, che poi è semplicemente un obbligo indiretto a vaccinarsi, avesse un chiaro limite temporale e nel frattempo ci fosse un piano serio per moltiplicare i trasporti per evitare assembramenti, assumere migliaia di medici di base in grado di seguire davvero ognuno di noi in modo da capire anche chi debba essere esentato dal vaccino per motivi di salute – e la casistica è complessissima – e ora viene fatto rientrare nella casella no vax, e magari venissero predisposti tamponi gratis per chi debba andare a trovare parenti o amici in rsa o in ospedali. Ecco se ci fossero questi contrappesi pensi che raggiungeremmo un minimo equilibrio nell’accettare delle regole di coabitazione con la pandemia?”
La risposta di C a questo commento è già contenuta nella sua precedente replica e potrebbe essere assimilata alla fase delle richieste.
Chiaramente è un piccolo esempio, ma il fatto di essere partiti da due posizioni opposte per arrivare a un terreno comune di discussione che prima non c’era mi sembra qualcosa di incredibile.
Il risultato è che abbiamo creato un ambiente distensivo che ci permette un confronto sereno per trovare soluzioni comuni, pur pensandola diversamente.
Conclusioni
Molti storceranno il naso perché applicare una comunicazione nonviolenta oggi sembra quasi una concessione ulteriore di “libertà” ai pensieri eterodossi. Lecito pensarlo. Ma vorrei sottoporvi alcune riflessioni/conclusioni che ho tratto da questo minuscolo tentativo, peraltro parziale:
- L’obiettivo della comunicazione nonviolenta è creare distensione senza snaturare la propria identità o i propri valori.
- Applicare questo processo significa fare domande e ascoltare chi abbiamo di fronte o dall’altra parte della tastiera. Anche quando quello che dice proprio ci fa incazzare. Ascoltare non significa dare credito automatico alle posizioni altrui, è semplicemente una fase di un processo di dialogo.
- Per scrivere i commenti seguendo la CNV ho impiegato molto tempo e ho fatto fatica a reprimere risposte d’istinto. Mai rispondere a caldo sull’onda del “trigger”, piuttosto chiediamoci “come mi fa sentire questa frase o commento?”.
- Chi ha una visione diversa non è necessariamente sempre estremista o polarizzato. Questo equivoco, pericolosissimo, ingrossa le fila dei gruppi complottisti proprio perché ingloba nella categoria anche chi ha dubbi, paure e soprattutto chi cerca risposte ma si vede trattare da cretino se prova a chiedere alle fonti “ufficiali”;
- In genere le persone “atterrano” nei gruppi polarizzati proprio perché non trovano risposte alle loro domande sull’impatto locale e personale di un certo fenomeno. Parliamo di informazioni non generiche ma di impatto sulla propria vita rispetto ad esempio a vaccini, covid, green pass.
- Da giornalista non cercherei mai di applicare la CNV per convincere un estremista. Non ho le competenze per farlo a quel livello ma posso iniziare a utilizzarla per scovare chi è nella cosiddetta zona grigia.
- La zona grigia è appunto quell’area in cui si trovano le persone indecise, con posizioni critiche o acritiche, ma non ancora davvero convinte rispetto alla strada indicata dall’estremismo. E’ qui che spesso l’informazione ufficiale fallisce regalando queste persone ai gruppi più estremizzati.
- La CNV non è un tentativo di convincere o manipolare l’altro sul fatto che noi abbiamo ragione e lui/lei torto. Spero sia chiaro che lo scopo è più complesso.
- Lo scopo, nel mio caso, era trovare un terreno comune di discussione con chi so che ha una posizione che io personalmente non condivido. Con chi magari ha paura, come ce l’ho io, ed è disposta ad ascoltarmi se viene ascoltata.
- Per quanto possano sembrarci illogici, non dobbiamo mai deridere o sminuire i timori altrui. Se lo facciamo bruceremo quel ponte che serve per dialogare.
- La CNV non sempre funzionerà, ma almeno eviterà di farci arrabbiare, di innescare meccanismi che facilitino lo “shit storm” sui social e altre amenità.
- L’ascolto è faticoso, perché non siamo più abituati a praticarlo. Ma possiamo allenarlo. Ed è più facile iniziare dialogando con una persona sola, magari la pecora nera rispetto alla nostra bolla, che non parlando in generale al gruppo che riteniamo “polarizzato”.
- Infine, anche nel gruppo più estremista ci sarà sempre una zona grigia, una o due persone non del tutto convinte. Ed è con quelle che bisogna dialogare.
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