La libertà di parola è stata hackerata

Alla fine del 2016 nell’ecosistema giornalistico abbiamo iniziato a parlare di fake news e di era della post-verità.

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Nella storia dell’umanità ci sono sempre stati problemi di disinformazione e di misinformation, di propaganda e di bufale e così via: penso che “fake news” sia un’etichetta farlocca, ridicola. Le fake news non sono altro che una versione contemporanea di un vecchio problema.

La Donazione di Costantino era un documento falso che diede alla Chiesa Cattolica un enorme potere nella parte centrale dell’Italia. Ci sono voluti 500 anni per scoprire e dimostrare che era un documento fasullo. Ora, quando una fake-news prende corpo possiamo sbugiardarla in pochi minuti. Certamente, l’engagement di una fake-news è più efficace di quello del debunk ma possiamo lavorarci su perché, come ogni ecosistema, anche l’ecosistema dei media contiene prede e predatori, problemi e soluzioni.

C’è inoltre un grande problema con l’uso del termine “fake-news”: il problema è che, tra poco, tutti accuseranno tutti gli altri di mentire. Ognuno è la fake news di qualcun altro. Questo è esattamente ciò che sta accadendo.

Per esser chiari, ciò non significa che non stiamo lottando all’interno del panorama dei media. Questo è il motivo per cui dobbiamo stare molto attenti alla terminologia che usiamo.

Una definizione universale di “fake-news” potrebbe essere questa:

«Le notizie false sono informazioni false diffuse a scopo di lucro»

Lo scopo del profitto potrebbe essere economico, politico, personale. Uno qualsiasi. Secondo questa definizione la cosiddetta “fake-news” potrebbe essere una bufala o una falsa affermazione, un numero dato in modo fuorviante, una storia raccontata senza contestazioni, una bugia, un fattoide, un errore e così via. In questa collezione di notizie false troverete storie completamente inventate, pubblicate da siti web che fingono di essere fonti responsabili, storie fuorvianti pubblicate da giornali reali.

Possiamo trovare online dei contenuti distribuiti allo scopo di fare rapidamente engagement con una grande quantità di persone. Ma il problema non è solo online. Sappiamo che in diversi paesi è possibile trovare contenuti a pagamento che sembrano commenti op-ed[1] o redazionali acquistati da aziende o think-tank per esporre fatti non necessari in copia cartacea. Uno dei casi studio più famosi riguarda il set pubblicitario di alcuni articoli pagati da Exxon Mobile per essere pubblicati sul New York Times, fuorvianti circa la preparazione della compagnia petrolifera sui cambiamenti climatici, minimizzandoli e quasi negandoli.

Dopo la rivoluzione digitale il panorama dei media ha iniziato a soffrire di una profonda crisi a causa della mancanza di un modello di business resiliente. Oltre a ciò, tutti sono diventati produttori di contenuti e persino diffusori di contenuti. I media legacy hanno perso il proprio oligopolio nella produzione e nella distribuzione delle notizie. Il politico ha cominciato a usare i social media come un amplificatore forte dei propri messaggi, pubblicando contenuti per raggiungere un pubblico enorme. Questi contenuti vengono poi riportati dai giornali, commentati, condivisi, dibattuti in un ciclo infinito e quasi privo di valore per il pubblico. Tali contenuti più sono forti, pieni di odio, coinvolgenti, utili per un titolo sexy di un giornale, buoni per il click-baiting, più circolano.

Il che porta a un paio di altri problemi.
Primo: i discorsi d’odio arrivano da persone influenti, uomini potenti, politici con un ruolo pubblico o governativo.
Secondo: la progressiva riduzione della disponibilità di contenuti significativi.

Newseum, Washington D.C.

Aggiungiamo qualche altro elemento. Al giorno d’oggi è possibile promuovere sui social media o sulle piattaforme digitali, utilizzando strumenti com il Business Manager di Facebook o Google Ads, qualsiasi tipo di contenuto rivolto a un pubblico specifico, con caratteristiche demografiche, geografiche e sociali specifiche e con interessi specifici.

In alcuni casi questo circolo vizioso viene applicato in modi come quello che ho già descritto osservando il tipo di contenuti sponsorizzati dai politici italiani sulle loro pagine Facebook: un partito politico chiede a un istituto di fare un sondaggio su un determinato argomento, il sondaggio fornisce un risultato vicino alle aspettative del partito politico, il risultato è dato ai giornali, i giornali pubblicano un articolo, la pagina Facebook di quel politico promuove gli articoli dei giornali per legittimarsi.

La conversazione social è spesso polarizzata da fan o da avversari veri o presunti. Puoi utilizzare dei robot per rafforzare l’engagement e la distribuzione di questo tipo di contenuti o conversazioni. Questo accade sulla superficie, quindi possiamo essere in qualche modo consapevoli di tutto ciò.

Tuttavia questo tipo di contenuti si sta spostando nelle conversazioni private, nei canali di istant messanging, luoghi in cui non possono essere trovati, misurati, monitorati o altro.

A peggiorare le cose aggiungo che questo è solo l’inizio, dato che è già possibile produrre i cosiddetti deep fake videos (in cui, per esempio, puoi far dire a una persona cosa che non ha mai detto).

Il risultato è un ecosistema dei media di giorno in giorno sempre più inquinato e spaventoso, con le persone che perdono fiducia nei giornali e nei media legacy. E se perdi la fiducia del pubblico perderai anche denaro e quindi avrai giornalisti meno pagati e (ma dai!) questo ti leva il fiato.

Chi dovrebbe regolare tutto ciò e come?
Possiamo semplicemente chiudere pagine web?
Alle grandi aziende della Silicon Valley (che non sono più semplici aziende proprio per via della loro funzione transnazionale) va richiesto di rimuovere i contenuti con discorsi di incitamento all’odio?
E che dire dei contenuti di incitamento all’odio dei politici?
Dovremmo essere contenti se qualcuno sarà in grado di controllare in modo approfondito le conversazioni private? Dovremmo bandire dagli spazi pubblici le proteste cariche d’odio?

Sono domande infinite e non c’è una soluzione perché non possiamo essere contrari alla libertà di parola e allo stesso tempo essere a favore alla situazione descritta.

Newseum, Washington D.C.

È la ragione per cui il sistema di Free Speech sembra essere stato hackerato da persone che traggono vantaggio da questa situazione. Ed è il motivo per cui dobbiamo reagire.

Dal momento che è molto difficile trovare una soluzione specifica per la situazione contemporanea senza influenzare la libertà di parola dobbiamo pensare fuori dagli schemi.
Voglio dire: odio il discorso d’odio. E certamente non voglio che le persone siano vittime di bullismo per il loro comportamento, le loro scelte sessuali o altro. Ma chi può decidere cosa è odioso e cosa no? Durante una dittatura (forte o tenera non importa) qualsiasi articolo contro il dittatore è certamente considerato odioso dal dittatore stesso.

Dall’altro lato abbiamo il paradosso di Popper: una società tollerante può tollerare persone intolleranti?

Come possiamo vedere, stiamo affrontando una questione filosofica.

La proposta dietro il concetto di slow-journalism, da un punto di vista giornalistico, è forse un buon punto di partenza. L’idea principale è quella di concentrarsi su una completa e radicale riprogettazione del concetto di notizia, del prodotto giornalistico, del rapporto tra le redazioni e il pubblico. Il giornalismo lento cerca di raggiungere il massimo grado possibile di ecologia nell’ecosistema dei media.

Il che significa, ad esempio:

  • un chiaro passaggio dalla produzione giornalistica al concetto di prodotto-come-servizio. Come giornalisti serviamo il pubblico con i nostri contenuti.
  • una riduzione progressiva della copertura delle dichiarazioni. Non abbiamo più bisogno di citazioni, abbiamo bisogno di più copertura dei fatti collocati all’interno di contesti.
  • scelte forti sullo stesso concetto di notiziabilità. Un tweet può essere una notizia? Possiamo trovare una soluzione diversa per non ignorare le dichiarazioni (online e offline) dei politici ma allo stesso tempo senza dar loro un’amplificazione dannosa? Certo che possiamo.
  • una riduzione progressiva della copertura delle notizie commodity, delle interviste ai politici, dei commenti e delle discussioni sulle breaking-news, dei rilanci di comunicati stampa.
  • una moratoria sull’uso indiscriminato di titoli emotivamente forti.
  • buon giornalismo, pulito e trasparente, giusto con il pubblico e con gli stessi giornalisti.
  • un approccio “meno-meglio” per la produzione giornaliera di contenuti. Stiamo lottando in un contesto di chiara sovrapproduzione e la risposta non può essere un ulteriore aumento della produzione di contenuti.
  • un giornalismo costantemente fact-checked.
  • una correzione degli errori chiara, semplice, corretta e visibile, fatta con le dovute scuse.
  • un approccio alla pari tra giornalista e il suo pubblico.
  • un focus forte sull’alfabetizzazione mediatica, non essere mai autoreferenziali o salire in cattedra, dare alla gente comune uno strumento tecnico, teorico e pratico per capire il pervasivo panorama mediatico, visto che questo è uno strumento fondamentale per comprendere l’età contemporanea e sostenere la libertà e la democrazia.

Credo fermamente che il giornalismo sia importante. E ciò può aiutarci a risolvere un problema. Potrebbe essere, come detto, un punto di partenza da una prospettiva, e allora abbiamo bisogno di molto di più. Da qualche parte dobbiamo iniziare. E dal momento che non vedo così tanto interesse da parte della politica nel voler pulire l’ecosistema dei media penso che sia il caso di iniziare da qui.

 

Note:
[1] Op-ed è l’opposto della pagina editoriale. È un articolo scritto che esprime l’opinione di un autore non coinvolto nello staff editoriale.

Ho scritto queste riflessioni il 28 giugno 2019 durante un viaggio in treno tra Washington DC e New York, prendendo parte all’International Visitors Leadership Program (IVLP). Ho messo insieme alcune delle idee e dei concetti mie e dei miei soci di Slow News con altre scritte con Daniele Nalbone in “Slow Journalism: chi ha ucciso il giornalismo?”, considerazioni che ho fatto durante le interessantissime conversazioni durante gli incontri IVLP (con Alessio Caspanello, Alessio Sgherza, Fabio Chiusi, Giovanni Zagni e le persone che abbiamo incontrato). Naturalmente queste parole riflettono la mia unica e personale opinione.