KPI – La guida “definitiva”: i problemi

Se c’è una cosa che il mondo digital si è trascinato prepotentemente in qualsiasi ambito è il temibilissimo anglicismo che un tempo era appannaggio solamente di chi si occupava di economia aziendale: i KPI.

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Questa prima informazione, il fatto cioè che il mondo dei KPI sia un mondo di analitica economica, dovrebbe suggerirci che ci vuole una competenza specifica per trattare il tema e che non si possa in alcun modo banalizzarlo usando a piacimento le pageviews o l’open rate di una newsletter.

Detto questo, è anche vero che muoversi in maniera agevole nel mondo delle misurazioni e delle metriche è diventato importante anche per chi pensava che avrebbe “solo” dovuto occuparsi di scrivere dei testi. I KPI sono diventati, più genericamente, indicatori di performance non necessariamente legati alla parte economica di un’azienda e non necessariamente legati alla monetizzazione.

La letteratura contemporanea è concorde nel dividere i KPI in due macro-insiemi:
qualitativi: sono elementi che sono fortemente influenzati da sentimenti e gusti o opinioni, e che sono proposti quando possibile sotto forma numerica o in maniera descrittiva e testuale
quantitativi: sono valori che (almeno in teoria) non hanno alcuna possibilità di risultare distorti da pareri personali, emozioni, pregiudizi, interpretazioni. Sono presentati sotto forma di valore numerico, misurato in maniera obiettiva e, preferibilmente, proposti anche in forma comparativa rispetto a una misura standard

Dei KPI qualitativi e della definizione dei quantitativi ci occuperemo in un altro “modulo” di Wolf. Qui parliamo di un’altra cosa

Vista l’ossessione dell’ultimo decennio per la misurazione e visto l’approccio laico e laterale che cerchiamo di avere qui su Wolf, vorrei partire, per parlare degli indicatori di performance, dai problemi che si portano appresso, che vale la pena di elencare:

  • Il costo. Misurare e analizzare tutto può essere molto costoso per un’organizzazione che voglia tenere “tutto sotto controllo”.
  • L’obiettivo mancante. I KPI vanno scelti accuratamente in funzione dell’obiettivo principale e degli obiettivi secondari. Quindi, se non si definisce in maniera molto chiara quello che si vuole ottenere, sarà molto difficile misurare usando gli indicatori corretti. Facciamo un esempio semplice. L’obiettivo principale di Wolf è la sua sostenibilità e la sostenibilità del lavoro di chi lo crea e lo gestisce. Per ottenerla, abbiamo bisogno che il numero degli abbonati di Wolf superi un determinato punto (il punto di pareggio) e che poi cresca fino a un certo altro punto di plateau (che definiamo in maniera arbitraria rispetto alle nostre soddisfazioni). Nota che in questa definizione c’è già un concetto molto umano e molto indicativo della filosofia di vita e di lavoro: non ho scritto che l’obiettivo di Wolf è scalare e crescere “all’infinito”. Una volta definito questo obiettivo, se dovessi dire che un KPI corretto è il numero di pagine viste sul sito commetterei un errore. Tuttavia, potrei voler incrementare il numero di pagine viste sul sito per poter lavorare con il concetto di funnel di conversione. Ma questa è un’altra storia e ha a che fare con gli obiettivi intermedi e con la tattica.
  • L’errore e l’umanesimo. La misura è un concetto scientifico che si porta appresso una serie di concetti umanistici. Tanto per cominciare, la misura è sempre e comunque soggetta a un errore. Questo è vero persino per strumenti come Google Analytics, che campionano le visite sul tuo sito. Impegnare troppo tempo a raffinare l’errore e a minimizzarlo può essere davvero molto costoso. Non solo: se è vero che il numero oggettivo è difficilmente confutabile, non è affatto vero che è non sia confutabile la sua interpretazione, il modo in cui viene raccontato. In questo, è molto utile introiettare i concetti di un maestro dell’incertezza come Nassim Nicholas Taleb.
  • La condivisione. I KPI non hanno alcun valore se non vengono posti in un contesto condiviso e accettato da tutte le parti in causa.
  • L’asse temporale. I KPI dovrebbero essere misurati sulla base di valori-obiettivo che vanno definiti in maniera realistica su un asse temporale ben preciso. Anche a me piacerebbe dire: Wolf deve raggiungere 3mila abbonati, lavoriamoci. Ma non funziona così.
  • L’incentivo perverso. I KPI possono avere come risultato un esempio di quello che in economia si chiama effetto cobra, generando un incentivo perverso. È quel che succede quando, per risolvere un problema o per migliorare una situazione, crei un problema peggiore. Quando, ad esempio, chi lavora in azienda si impegna a massimizzare quel KPI senza badare più alla qualità complessiva del lavoro. L’esempio più efficace che conosca di effetto cobra legato ai KPI è: non sappiamo bene come monetizzare il digitale, allora facciamolo con i banner e massimizziamo il KPI “pagine viste”. L’effetto cobra, l’incentivo perverso, diventa evidentemente quel che è successo con i giornali sul web: gallery pruriginose, video curiosi, titoli acchiappaclick e via dicendo. Come vedi, l’effetto cobra può avere conseguenze deleterie non solo su un progetto o su un’azienda ma addirittura su un intero ecosistema lavorativo.
  • La condanna statistica. Le misurazioni dedicate e quelle standard con cui ci si confronta sono spesso misurazioni statistiche. Questo significa che per raccontarle ma anche per capirle bisogna avere una competenza statistica.
    Ma anche sapere che, così come una mappa non è il territorio, allo stesso modo la statistica non è la realtà e anche se ti sembra che tutti gli indicatori che hai scelto stiano andando alla grande, potrebbe essere che il risultato finale non vada affatto bene. Questo può dipendere da molti fattori, ma sicuramente c’è una grossa responsabilità nel modo in cui i legacy media hanno, nel tempo, rappresentato in maniera fallace la realtà usando i numeri in maniera allegra, per creare storielle curiose, appetibili e lasciando clamorosamente indietro i concetti che creano contesto. Un esempio classico degli ultimi dieci anni, con la crisi delle democrazie occidentali, è il modo in cui i media raccontano le elezioni. Nel 2015, su Blogo, decidemmo in redazione che la notizia non era il risultato finale ma era il mondo degli astensionisti, che stava aumentando a dismisura. Così commissionai a Carlo Gubitosa questo pezzo che, a mio modo di vedere, dovrebbe essere il tipo di pezzo che dovrebbe dare la reale misura della situazione in termini di partecipazione.
    Quando, la stampa mainstream, smetterà di concentrarsi sul risultato percentuale ottenuto da un partito e riterrà notizia che quel partito è rappresentativo di una sempre più ridotta minoranza?
  • Non puoi misurare la produttività. Un pezzo del 2003 di Martin Fowler mi sembra ancora oggi davvero molto efficace nel suo desiderio di provocare riflessioni e sfatare miti. Fowler lavora nel mondo del software. Un mondo in cui l’illusione di misurare tutto è stata la stella polare per anni, un mondo in cui si è cercato di misurare le performance in ogni modo (per dire, misurando il numero di linee di codice scritte come indicatore di progresso). Non solo: è dal mondo del software e dalla dominanza del mondo tech che questo uso della misurazione si impadronisce letteralmente di interi settori di aziende. Il pezzo di Fowler, come il suo blog, È tutto da leggere, ma il finale racchiude già la sua essenza: «È probabile che tu non possa misurare la produttività di un gruppo di lavoro se non alcuni anni dal rilascio di un software che stavano progettando. Capisco perché misurare la produttività sia così seducente. Se potessimo farlo, potremmo lavorare sui software in maniera più semplice e obiettiva di come facciamo adesso. Ma le false misurazioni rendono solo peggiori le cose. Questo è un ambito nel quale penso che dovremmo semplicemente ammettere la nostra ignoranza».
  • L’insanità di Einstein. Fare e rifare sempre le stesse cose aspettandosi di trovare risultati diversi. Questo è il tipico loop fallimentare che si genera in azienda quando si lavora con KPI che ossessionano le persone al rispetto dei parametri con cui si definiscono quei KPI. Come se – torno a fare un esempio giornalistico – per invertire la tendenza della crisi delle vendite in edicola, un giornale pensasse di poter fare “meglio” lo stesso giornale di carta del giorno prima. A volte KPI errati portano a conseguenze letali.

Questo lavoro di pars destruens non ha l’obiettivi di dissuaderti dal proposito di provare a misurare alcune cose. Vedremo come farlo con la pars construens.

(AP)