Paga come parli!

Da quando l’Instant Messaging ha preso il sopravvento nel conto delle umane scritture mi sto chiedendo due cose.

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La prima, più legata alla mutazione della scrittura in sé, è se emergerà un genere letterario ad hoc, un talento di narrazione specifico per le scritture istantanee connesse. Il ragionamento sotteso alla domanda è semplice. Scrivere connessi porta a una cambiamento significativo nella latenza tra scrittura e lettura. È un cambio d’inclinazione degli assi spazio-temporali, basato su un’accelerazione nel tempo che si traduce in un accorciamento percepito nella distanza tra chi sta scrivendo.

Un genere dialogico sufficientemente diverso da giustificare in alcuni l’attesa di un nuovo genus e di un nuovo genio scrittorio. Bilancio provvisorio: nessuno sul mio orizzonte. Si segnalano sensibilità specifiche, una certa polarizzazione tra chi sa scrivere bene (anche) così e chi meno. Ma in sostanza la partita è ancora totalmente aperta e i giochi sono ben lontani dall’essere fatti. Vedremo.

La seconda domanda è forse ancora più immediata e pressante per noi più o meno abili solutori di Wolf: come si monetizzano le scritture istantanee connesse? Qualcuno ha messo a punto un business plan solido e soprattutto nativo, cioé ideato appositamente per le chatroom di ogni tipo e natura?
Vediamo le cose più rilevanti allo stato dell’arte.

  • le versioni business e corporate delle piattaforme gratuite.
    I primi a partire sono stati i trader. Qualcuno forse ricorderà un vecchio numero di Wolf in cui raccontavo di Symphony, la piattaforma di messaggistica costruita da Bloomberg per i trader delusi da yahoo. Anche i big player ci stanno pensando, a cominciare dal gigante Facebook, che ha lanciato ma non ancora commercializzato whatsapp business.
  • la caro vecchia ossessione: advertising advertising advertising. Anche qui Zuckerberg fa sul serio con l’adv calibrata sul tuo Facebook Messenger (l’hai scoperta anche tu?)
  • i micropagamenti (basati o meno su blockchain, ma a tendere sì). Anche nella palude italica qualcosa si muove: Soundreef sta facendo concorrenza a SIAE, forse dopo Equitalia la banda più amata dagli italiani.

In questo arcipelago di prototipi che navigano ancora a vista, senza un vero e proprio benchmark di monetizzazione, la vera novità sarebbe legata a Telegram.
Telegram è già la piattaforma di messaggistica prediletta tra quelle mainstream per la cifratura dei dati. Coi suoi circa 200 milioni di persone registrate è seconda dopo Wechat per diffusione.

D’altra parte Wechat è del colosso cinese Tencent ed è stata la prima ad introdurre i QQ coin, una moneta virtuale come i FIFA points, e tutte le altre centinaia di tipologie di crediti e microtransazioni per monetizzare i videogiochi. È cioè ritenuta (con qualche riserva da parte di alcuni) molto più sicura di whatsapp, che infatti, preso atto del vantaggio competitivo di Telegram in questo senso, ha dovuto correre ai ripari cifrando a sua volta gli scambi tra iscritti.

Bene, che cosa ha fatto Telegram?

Per il momento assolutamente niente. Però già da fine dicembre circolava una voce molto insistente e nei giorni scorsi c’è stato il leak di un white paper da cui si deduce che la società dei fratelli Durov sembrerebbe avere in programma per il quarto trimestre 2018 l’emissione di una criptovaluta basata su blockchain direttamente sulla piattaforma di messaggistica. Nessuna conferma dalla società, solo una dichiarazione sul fatto che i siti che già propongono di acquistare token (gettoni) della nuova moneta sono una truffa.

Un piccolo chiarimento preliminare.

Abbiamo deciso di parlarne indipendentemente dalla mancata ufficializzazione non certo per sfiducia nel factchecking ma semplicemente perché il paper si basa su una visione davvero interessante. Che venga attuato o meno (secondo chi scrive al 90% sì) è un progetto significativo come lettura del contemporaneo.

Come mai ci interessa?

Innanzitutto mette in luce i limiti delle attuale criptovalute top, ovvero Bitcoin e Ethereum.

Per questo motivo Telegram avrebbe deciso di rinunciare ad appoggiarsi a uno dei player esistenti lanciando invece una sua criptomoneta. Assocerebbe automaticamente un portafoglio ad ogni account Telegram, partendo da zero da una base di 200 milioni di clienti, su una piattaforma rodata, con un’interfaccia semplice e con poche barriere all’ingresso.

Funzionerebbe più o meno così (hai due minuti per una demo semplicissima? Eccola):

Da un primo approfondimento di Techrunch, si tratterebbe del lancio più grande di sempre: una ICO per il controvalore degli attuali 14 miliardi di dollari, un’ordine di grandezza in più rispetto al lancio record precedente:

fonte

(non sai bene cosa sia una ICO? lo trovi qui, su bloomberg)

Saremmo di fronte a un autentico colpo gobbo, roba al livello di ambizione di un Elon Musk, per intenderci.

I detrattori della piattaforma non mancano. C’è chi solleva dubbi sull’efficacia del metodo di crittografia della piattaforma. Chi accusa i Datov di aver consegnato i dati dell’opposizione al governo iraniano. Ma soprattutto c’è chi insinua che questa della criptovaluta proprietaria sembra un po’ da ultima spiaggia. Mancano informazioni su importanti elementi sia di governance e sia di politica monetaria della nuova valuta. Certo è che fino a oggi Telegram non ha avuto un vero modello di business. I costi annuali di sviluppo e mantenimento si sono tradotti in perdite secche.

Teniamo conto però che i fondatori di Telegram sono anche i fondatori di VK, il Facebook russo. Ne sono usciti nel 2014, quando VK era considerato tra le prime dieci piattaforme al mondo. La storia insomma non è molto diversa da quella dell’apparente non monetizzazione di whatsapp per il gruppo di Zuckerberg.

Ma al di là delle critiche mosse, c’è un aspetto che tuttavia riguarda più di altri chi si occupa di comunicazione: in termini di storia dei media, col progetto TON di Telegram verrebbe realizzato almeno un pezzetto del sogno di McLuhan e dei suoi discepoli: scrittura e denaro sono il medesimo, coincidono in un unico portafogli, in una stessa piattaforma autonoma. Se il like di Facebook e le altre forme di apprezzamento dei contenuti rappresentavano già una forma embrionale di credito (la reputazione è valore, chi scrive si accredita del nostro plauso in una forma implicita di denaro), ora Telegram farebbe un passo avanti: scritture sovrane (inaccessibili in quanto criptate) che si scambiano una moneta criptata sovrana interna alla piattaforma.

È molto diverso dal trasferimento di denaro in divise nazionali su iMessage. Perché? Perché Apple è un intermediario, non detenendo per ora la sovranità di dollari, euro e yen. Telegram scambierebbe invece una moneta di sua creazione, creando un’economia separata e indipendente di parole e soldi.

Si farà? Non si farà? Funzionerà? Le critiche non mancano. Diciamo pure per prudenza che che non funzionerà. Ma se funziona, quanto ci metteranno Facebook, Google ed Apple a emettere un proprio conio? Sento scoppiettare i popcorn.