«Il Web come l’ho immaginato, non l’abbiamo ancora visto, il futuro è ancora molto più grande del passato». Finisce così “One Small Step for the Web…”, in cui Tim Berners-Lee ammette che le cose, con il web, non sono andate esattamente come si era immaginato agli inizi. E quel web inclusivo che si voleva creare, quella rete per tutti, si è trasformata in un «motore di disuguaglianze e divisioni».
Ragion per cui al MIT, Berners-Lee, l’uomo che ha inventato il World Wide Web, si è messo al lavoro con una startup per ricominciare da capo e ricostruire una rete che si basi, essenzialmente, su pochi elementi fondamentali:
- la possibilità per tutti di leggere, scrivere, editare contenuti
- l’incorporazione, all’interno dei contenuti, di permessi (di scrittura, lettura, modifica)
- una gestione sicura dell’identità
- il pieno controllo sui dati
- l’aggiornamento in tempo reale
Sono funzioni che il web avrebbe dovuto avere fin dalle sue origini, così com’era stato pensato, a cominciare dalla prima. Ma, spiega ancora Berners-Lee, quando si diffuse il primo browser che divenne popolare (Mosaic, 1992-1997) le funzioni di riscrittura e editing dei contenuti erano state eliminate perché considerate un problema troppo grande da risolvere.
In termini di funzionalità – non necessariamente in termini di risultato finale – il web immaginato da Tim Berners-Lee è più simile a Wikipedia che a Facebook, per capirci.
Così, Berners-Lee si è messo a lavorare su un nuovo web, che si basa su tutti i progressi ottenuti da quello che conosciamo ma che promette di restituire quei principi di uguaglianza e di controllo del dato che sono andati via via perdendosi col tempo.
Il progetto si chiama Solid. Ci si può già iscrivere e si può creare un proprio profilo. Ci sono così pochi iscritti che ho potuto riservarmi lo user name Alberto, per poi creare la mia prima Solid Card, raggiungibile all’indirizzo https://alberto.solid.community/profile/card#me.
L’aspetto della mia card dovrebbe suggerirci il primo problema di Solid. Siamo, ovviamente, al grado zero e non si può parlare ancora di rilasci. Ma per il momento gli unici che hanno la possibilità di entrare in Solid sono persone che hanno competenze tecniche e voglia di mettersi a smanettare. L’interfaccia grafica è inesistente. La user experience è ritornata agli anni ’90. Con un bel po’ di sforzo sono riuscito a capire dove andare per aggiungere i miei link di riferimento.
La lista degli how to – che ho trovato iscrivendomi a tutto, anche al forum – è composta da una serie di spiegazioni filosofiche o tecniche (tipo: come costruire la tua app decentralizzata su Solid in pausa pranzo).
Una early adopter, ovviamente una programmatrice, ha realizzato una guida delle cose che possono interessare a qualcuno come me che, nell’ordine:
- sposa la filosofia di partenza
- vorrebbe contribuire allo sviluppo del progetto per le proprie competenze
- ha un minimo di competenza tecnica ma non vuole passare la vita a studiare programmazione o simili
Qui c’è la guida. Comunque ci risiamo: user experience da anni ’90 (in cui almeno, qualcuno si prende la briga di spiegarti come aggiungere un amico, per esempio).
Così, un po’ frustrato, mi sono iscritto anche alla chat e ho provato a far mie alcune obiezioni naturali. Inclusa quella di Mafe de Baggis che ci ricorda che il web in realtà non è mai stato un luogo inclusivo.
«Era una rete tremendamente elitaria. Era popolata da persone che avrebbero fatto di tutto per ritardare l’arrivo dei diversi da loro. Da persone che hanno fatto di tutto, in realtà, per ritardare l’arrivo di persone come me o come te».
Ho preso questa obiezione, ci ho aggiunto le mie e ho scritto nella chat di Solid, dove c’è anche Tim Berners-Lee.
Navigando nel poco frequentato forum ho scoperto anche di non essere solo. Un medico scrive un post dal titolo PLEASE HELP A (SORTA) REGULAR PERSON.
«Sono un medico. Se mi sentiste mentre detto un rapporto sulle patologie, non capireste nulla di quel che dico. In più, anche se capiste tutte le parole, perdereste comunque le loro implicaionzi. Questo non dice nulla sulle vostre e sulle mie capacità intellettuali o abilità (non è che siccome non capite, allora non sono il miglior patologo sulla terra), ma, semplicemente, riflette le diverse sfere in cui esistiamo e viviamo.
Non capisco nessuna delle discussioni qui. Non sono un programmatore. Ma voglio aiutarvi a fare quel che volete fare. E se volete cambiare il mondo in cui i non-programmatori vivono, dovete lavorare con qualcuno come me che può aiutarvi a integrare le vostre idee nel mondo là fuori, dove le persone non parlano il programmese o il medichese».
Il commento del medico giace per ora non gestito. Con mia grande sorpresa, invece, la mia osservazione in chat ha ricevuto una risposta direttamente da Berners-Lee.
Questa è la risposta
«Ci sono problemi di ineguaglianza e la web foundation è nata proprio per quei problemi, ma se osservi il lavoro delle persone che si occupano, ad esempio, del W3C, faresti una grossa ingiustizia ignorando il lavoro di molte persone sull’internazionalizzazione per assicurarsi che il web sia accessibile per qualunque cultura, linguaggio e via dicendo, così come la Mobile Web Initiative, che spinge le persone a costruire siti che funzionino in mobilità […] e la Web Accessibility Initiative».
Secondo Berners-Lee, insomma, c’è stato un mondo in cui gli early adopters hanno spinto per abbattere le barriere culturali fra di loro e fra gli altri. Ed è sicuramente vero: c’è stato.
Ma quel che provo a proporre qui – e nel gruppo di conversazione di Solid – è il punto di vista del medico.
Per fare di Solid qualcosa di gradevole bisogna pensarlo da subito per le persone che non hanno competenze tecnologiche. Altrimenti si ricomincerà da capo. Facebook non è nato per programmatori. Per quanto rudimentale, aveva una ux e un’interfaccia grafica frictionless. C’erano elementi nerdissimi (te lo ricordi il poke) ma era da subito facile da comprendere e da usare.
Qui i problemi che vedo, con tutto il rispetto per l’enorme lavoro delle persone che si stanno impegnando per un lavoro che ritengo non solo giusto ma anche necesario, sono molteplici.
Il primo è addirittura riuscire a comunicare correttamente i motivi per cui, in effetti, abbiamo bisogno di Solid alle persone.
Il secondo è: rendere la vita facile a tutti. Ce lo siamo ripetuti tante volte: il design per funzionare.
Senza la massa critica Solid è destinato a essere un bellissimo e teorico esercizio di stile.
Ti direi di raggiungermi lì, se hai voglia e pazienza di giocarci un po’. Ma capisco che lo sforzo potrebbe essere sconfortante.
Da parte mia continuerò la mia conversazione con Berners-Lee e con il suo gruppo di lavoro, per metter loro a disposizione, se lo vorranno, un punto di vista da mediatore culturale.
(AP)