Google che svela i segnali di ranking

Qualche giorno fa è uscito un pezzo che ha fatto il solito botto seguito a rumore di fondo nel mondo della SEO. Di solito, per i non addetti ai lavori, succede così:

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Antefatto

  • Google annuncia una modifica al suo algoritmo oppure
  • un’intervista di un esperto di Google viene pubblicata oppure
  • da svariati segnali/test nelle SERP si evincono sperimentazioni di Google, che non conferma, non smentisce oppure
  • qualcosa a scelta che riguarda la comunicazione di Google

Conseguenze a breve termine

  • tutti gli interessati, a vari livelli, si passano il link
  • il 98% degli interessati non lo legge, lo legge superficialmente, lo legge e lo interpreta secondo propri pregiudizi autoconfermativi (attenzione: non c’è alcuna garanzia che il sottoscritto ne sia esente. Il tentativo per esorcizzare i pregiudizi autoconfermativi sta proprio nel mio mettere nero su bianco le considerazioni in merito)
  • il 2% lo legge, studia, cerca di capire come si integri la cosa con le proprie strategie

Conseguenze a breve, medio e lungo termine

  • dal 98% del punto B) discendono a caso:
    1. reazioni scomposte
    2. decisioni radicali di cambiamento di strategia con conseguenze a lungo termine e senza alcun A/B test
    3. altro, generalmente sbagliato
  • dal 2%, invece, discende una sola cosa: si continua a fare quel che si è sempre fatto. Cioè pensare a contenuti e utente.

Questo è un meccanismo che, molto probabilmente, si ripete – secondo le declinazioni del caso – ogni volta che si ha a che fare con qualche novità nel digitale (e non solo), ma era bene fissarlo. Google ha svelato i suoi primi due segnali di ranking. Nero. Stacco su: svenimenti collettivi.

Com’è successo?

Durante un Q&A con Google, Andrey Lipattsev, la cui job description (per i feticisti della medesima) suona Search Quality Senior Strategist at Google, ha risposto così a chi gli ha chiesto quali fossero i primi due fattori di posizionamento su Google:

«I can tell you what they are. It is content. And it’s links pointing to your site».

«Contenuto e link che puntano al tuo sito». Tutto qui. Semplice e lineare. Sembra di essere tornati indietro di una quindicina d’anni. E invece.

E invece?

E invece, come tutte le dichiarazioni che provengono dal mondo Google, va pesata.

Quindi adesso cosa faccio?

Niente. Cioè, tanto per cominciare: se ti occupi di SEO non iniziare per nessun motivo a comprare link in entrata sul tuo sito. Non è una pratica che a Google piace. E se l’hai fatto o lo stai facendo, e fino a questo momento ti è andata bene, è proprio il momento di smettere.

C’è un solo tipo di link proveniente dall’esterno che piace a Google e visto che i link li abbiamo rovinati per bene è il caso di ricordarselo: è il link che piace all’utente. Quello che crea contesto, dà valore aggiunto. È il link naturale. Non solo: come ti ho raccontato nell’apertura della parte SEO di Wolf., parlandoti del mio esperimento sul Giubileo, ho scritto chiaramente che quel sito non aveva link di valore.

Eppure si è posizionato lo stesso. Poi, nel tempo ha avuto alcuni link, anche se da siti piccoli, per un totale di 139 domini diversi, che probabilmente in alcuni casi hanno linkato le pagine perché le hanno trovate pertinenti e in altri casi le hanno linkate come tecnica SEO. Ma questi link li ha avuti perché era già posizionato e superava in SERP il sito ufficiale del Giubileo.

Quindi Google mente?

No, non mente. Ma le sue affermazioni vanno pesate. I link servono. Ma non sono indispensabili per iniziare. Sono importanti. Ma se sono naturali. Se crescono piano.

E i contenuti?

Davvero, non saremo ancora a farci trattare da Google come fossimo degli sprovveduti, giusto? Non possiamo scoprire oggi che la cosa più importante siano i contenuti. Non vale davvero la pena di soffermarsi oltre su questa affermazione.

Rivelazioni

Il 13 novembre 2015, qualche mese prima di questa «clamorosa rivelazione» di Google, ho scritto questo post dal titolo I primi due segnali di ranking su Google svelati. Preveggenza? Macché. Questo era quello che scrivevo in sintesi:

«Il primo segnale di ranking di Google è la convenienza propria di Google.
Il secondo segnale di ranking di Google è il contenuto».

La convenienza propria di Google è, semplicemente, una sorta di risposta a questa domanda: «A Google conviene che il mio contenuto sia ben posizionato in SERP?» (Cioè: è un contenuto utile per l’utente? Contiene tutte le informazioni che servono all’utente? Risponde a tutte le linee guida di Google perché sia utile per l’utente? Incidentalmente, consente anche a Google di premiare una pagina «generica» anziché una pagina brand come nel caso delle sedie ergonomiche? Viene ritenuto autorevole da altri – eccoli qui dentro, i link). In molti punti, la convenienza propria di Google si sovrappone alla convenienza propria di Google.

Perché avevo scritto quel post? Semplice. Da Google avevano appena parlato di RankBrain, che era stato un po’ incautamente presentato come terzo fattore di ranking. In realtà è semplicemente una parte dell’algoritmo che processa una quantità enorme di ricerche su Google e che dunque «pesa» molto nella produzione delle SERP. Fine della storia.

È ancora valido oggi, quel post?

Sì. Dubbi? Come al solito, se vuoi, parliamone. Ti lascio, però, con un video che ha pubblicato su Facebook qualche giorno fa Giorgio Tave. Contiene 43 risposte secche (sì-no) sulla SEO. Personalmente sono d’accordo con 42 su 43.